UNA NATURA INTERSTIZIALE
La pubblicità si situa "tra": in televisione, tra un programma
e l'altro, nella rivista, tra una pagina di testo e un'altra, alla radio, tra
un brano musicale e l'altro e così via.
Difatti si coniuga bene a termini quali "inserto", "intervallo",
"stacco" ecc.
All'interno di un qualsiasi programma, la pubblicità risulta parte strutturale
dell'insieme solo per quanto riguarda il suo contributo economico, a parte questo,
essa risulta, per alcuni, come vera e propria patologia della continuità
testuale. I suoi valori comunicativi sono, infatti, considerati da un lato carenti,
in quanto discorso privo d'interesse, futile, noioso, e dall'altro lato eticamente
negativi, in quanto propugnatrice di valori discutibili, luogo di costruzione
di rappresentazioni false, capace di instillare negli individui la percezione
di bisogni fino ad allora non percepiti.
Queste due concezioni, a prima vista, paiono escludersi: come si può, infatti,
condannare un fenomeno sociale perché dotato di grande potere e allo stesso
tempo, perché inutile?
Ma la realtà non è così semplice. Si tratta di un'operazione
tesa ad evitare di affrontare problemi davvero troppo globali e dunque troppo
complessi. Proprio perché emblematica, tipica, quindi centrale, la pubblicità
viene staccata come parte valutabile a sé, senza bisogno di ricordarne
continuamente le sue connessioni con il resto della vita sociale.
Per le stesse ragioni può essere opportuno attutirne l'impatto e la criticabilità
definendola come qualcosa da non prendere in realtà troppo sul serio, come
appunto testimonia la decisione di collocarla in quelli che si dicono essere spazi
marginali e secondari.
Ma per capire in che senso la pubblicità sia veramente centrale nella comunicazione
sociale è utile specificare come si costruisce un messaggio pubblicitario.
- Per prima cosa, una campagna pubblicitaria parte dall'esigenza di promuovere
un prodotto o un servizio che si presta a certi possibili usi e che è state
creato pensando di rispondere a determinate esigenze.
- Nell'ideazione delle linee portanti del messaggio pubblicitario, si può
decidere di poggiare tanto sull'inventiva dei creativi, quanto di lavorare sulla
base di un'apposita ricerca sul target. In entrambi i casi, tuttavia, la logica
effettiva è la stessa: l'intuizione si fonda inevitabilmente su un'attenta
indagine, condotta in termini di analisi testuale, giacché il buon creativo
è quello che molto si documenta, che legge ciò che il suo pubblico
legge, che vede tutti i film significativi, che studia le nuove tendenze grafiche
e così via. In questi termini, possiamo dire che il lavoro dell'agenzia
pubblicitaria ci appare piuttosto come un abile lavoro di confezionamento, di
rielaborazione e riadattamento di elementi e configurazioni affermati sulla scena
culturale: un'attività che richiede per altro, forse anche più sensibilità
e più intelligenza di quanto sarebbe necessario per una diretta creazione
da zero. Tutto questo ci porta a ripensare in termini meno banali il rapporto
tra livelli di comunicazione privati e pubblici, tra discorsi di parte e discorsi
collettivi. I semiologi sanno bene che, al di là delle apparenze, i testi
non appartengono a chi li confeziona e che il valore dei fatti comunicativi è
sempre il risultato di un'interazione sociale.
- A questo punto dobbiamo tenere conto dell'altro lato del processo, vale a dire
quello della rielaborazione di un discorso proprio, di uno stile di marca riconoscibile,
di un'immagine significativa perché in qualche modo differenziata. Concepiremo
allora la creatività pubblicitaria come l'invenzione di un linguaggio proprio
attraverso i linguaggi diffusi.