Accesso telematico universale

Stefano Sansavini

StranoNetwork

La realtà attuale

L'utilizzo massificato delle nuove tecnologie telematiche potrebbe portare un apporto positivo di cui sarebbe beneficiaria l'intera umanità. Questa affermazione, sicuramente vera, trova innumerevoli ostacoli alla sua realizzazione. Questo intervento vuole essere un tentativo di porli in evidenza e di tentare di dare delle indicazioni per superarli. Sicuramente, non è difficile rendersi conto che siamo stati letteralmente sommersi negli ultimi mesi, attraverso la carta stampata, la televisione ed ogni altro medium dalla presenza pervasiva dell'informatica e delle reti telematiche. Una nuova protagonista si è affacciata su questo fine millennio: la rete Internet. Ciò nonostante siamo ancora molto lontani da un accesso telematico universale e dalla piena espressione delle potenzialità esistenti nell'utilizzo massificato dei nuovi strumenti tecnologici atti a comunicare. I dati parlano di circa 50 milioni di utenti Internet, che diventeranno circa 82 milioni a fine '97 e 180 milioni a fine millennio, e di circa 250 milioni di personal computers nel mondo. In Italia nell'estate '96 risultavano 584.000 utenti Internet, di cui 110.000 titolari di un abbonamento, a marzo '97 risultavano 1.377.000, e a settembre '97 erano 2.348.000, di cui circa 300.000 titolari di un abbonamento (Fonte: Istituto Alchera Strategic Vision). La ricerca è stata condotta su un campione di diecimila individui tra i 14 e gli 80 anni rappresentativi per sesso, età, professione, regione e centro di residenza. La stessa ricerca afferma che al 21 marzo 1997 erano 6.341.000 le persone che dichiaravano di possedere e utilizzare un Pc in casa. A settembre '97 erano diventate 6.912.000. Un incremento dell'0,8 % con una percentuale di penetrazione dei Pc nella popolazione adulta italiana del 14,8 %. I dati sopra riportati sembrano indicare una tendenza inarrestabile alla massificazione dell'utilizzo della rete Internet. In realtà non è così. Ad un'analisi più attenta scopriamo che 2.348.000 sono semplicemente coloro che anche solo una volta sono "entrati" in Internet, sarebbe quindi un errore classificarli come "utenti", inoltre coloro che hanno un abbonamento sono soltanto 300.000 e quindi hanno un accesso che potremmo chiamare "privato", ma anche qui dovremo togliere gli abbonamenti che risultano intestati ad aziende ed enti privati e pubblici e che sicuramente sono una grossa fetta. Se poi consideriamo il modo in cui è stata condotta la ricerca, cioè a campione, probabilmente saranno meno di 150.000 coloro che possono usufruire di un accesso che possa essere usato senza nessuna limitazione per seguire le proprie voglie, esigenze e motivazioni (che corrisponde a circa lo 0,3 % della popolazione adulta). Solo quest'ultima fetta, infatti, ha accesso alle potenzialità insite nel mezzo. Se tale percentuale si allargherà fino a comprendere la totalità della popolazione, l'umanità potrà fare un grosso salto in termini di possibilità di comunicazione orizzontale e di accesso alle informazioni. Solo a tale condizione si realizzerebbe una molteplicità delle fonti informative, tra le quali scegliere la propria. Solo dati questi presupposti sarebbe possibile interloquire direttamente senza le mediazioni attuali (agenzie stampa, grandi media, professionisti dell'informazione) e quindi tornare a comunicare. Invece la gran parte degli accessi è evidentemente costituita da connessioni dalle sedi universitarie o da istituiti di ricerca o da aziende e quindi, probabilmente, non completamente fruibili da coloro che li utilizzano, ma sono accessi consacrati agli ambiti dello studio, della ricerca e del lavoro, comunque finalizzati a un qualche progetto che, sicuramente, non è stato scelto, concepito da colui che utilizza la rete. Anche il dato relativo al numero di personal computer presenti nelle abitazioni non è poi molto confortante, nonostante i numeri, infatti solo il 14,8 % della popolazione adulta (a partire dai 14 anni) ha il p.c. in casa e l'incremento da marzo a settembre '97 è risultato essere solo dello 0,8 %. Considerazioni simili si possono fare anche per quanto riguarda il resto del mondo industrialmente avanzato, compresi gli Stati Uniti. Questo è ciò che avviene ovviamente nel nord del mondo, in quello che viene definito occidente capitalistico, in quei 7 od 8 paesi industrialmente sviluppati. I paesi restanti, dove vive la stragrande maggioranza della popolazione mondiale, sono completamente tagliati fuori da tutto ciò. In ogni caso, relativamente ai 250 milioni di personal computers, possiamo constatare che questi vengono sottoutilizzati rispetto alle loro potenzialità di strumenti comunicativi, spesso vengono relegati in un angolo, usati come il sostituto di una macchina da scrivere o poco utilizzati. Molti di questi, inoltre risultano obsoleti rispetto alle continue innovazioni che il mercato impone. Eppure noi sappiamo che potrebbero fare tante cose ed essere utilizzati in maniera molto produttiva, ma solitamente i proprietari di queste macchine sono indotti a seguire la moda dell'ultimo ritrovato tecnologico, ed in questa rincorsa tali strumenti non vengono quasi mai sfruttati appieno. La rincorsa tecnologica quando viene vissuta nel "privato" diventa un continuo upgrade sia dell'hardware che del software per far stare al passo con i tempi la macchina che così viene utilizzata come un giocattolo. Il nostro tempo viene dilapidato, allora, in questo folle inseguimento, rendendoci incapaci di tirar fuori le potenzialità comunicative del mezzo. Per concludere su questo punto, ricordo che gli abitanti della Terra sono ormai circa 6 miliardi e che quindi in questo momento solo l'1,3 % è entrato in contatto con Internet e che esistono solo 4 computers ogni 100 abitanti, come abbiamo visto concentrati nel nord opulento del mondo e spesso sottoutilizzati o abbandonati. Questa il quadro attuale. Se invece fosse effettivamente realizzato un accesso universale, se potessimo utilizzare questi strumenti come servizio universale accessibile a tutta l'umanità, se fosse possibile realizzare una comunicazione costante da uno a uno, da uno a molti e da molti a molti, allora si potrebbero esprimere con compiutezza le potenzialità insite nel mezzo, in maniera sempre più decisa con implicazioni sociali, culturali e politiche, con una redistribuzione, decentralizzazione e degerarchizzazione dei poteri a vario titolo costituiti nella società nella quale viviamo. Ogni tanto possiamo rilevare degli episodi che alludono, anche se in maniera solo parziale, a questi processi, che per il momento possiamo solo immaginare nella loro compiutezza (ma l'immaginazione sarebbe bene che tornasse al più presto al potere). Un esempio per tutti, forse il più banale: durante la guerra del Golfo, la CNN diffuse l'immagine di un cormorano che stava morendo nel petrolio, a causa, dicevano, della distruzione dei pozzi di petrolio operata da Saddam Hussein (è noto quanto coinvolgente possa essere sull'immaginario collettivo l'immagine di un volatile morente). Qualcuno, sulla rete, fece notare che i cormorani in quella stagione e in quella zona non ci sono. Le reti di computers amplificarono in breve tempo la voce dell'anonimo conoscitore di volatili e in breve tempo la CNN fu costretta ad ammettere il trucco senza trovare il modo di giustificare la gaffe. Nel suo piccolo, tale episodio fa intravedere la potenza della comunicazione da uno a uno o da uno a molti quando non resti appannaggio di una piccola élite. Altro esempio: nel 1992 si tenne a Rio de Janeiro la conferenza "Vertice della Terra", in cui sotto l'egida dell'ONU, migliaia di organizzazioni non governative si incontrarono e stilarono un documento per la difesa delle biodiversità che il presidente USA Bush si rifiutò di sottoscrivere. L'anno successivo Clinton annunciò che avrebbe firmato tale documento. Nessuno, inizialmente parve accorgersi che ciò che Clinton aveva intenzione di firmare conteneva delle grosse differenze rispetto al documento originale. Ma il testo integrale fu diffuso attraverso le reti telematiche alternative e un'ecologista indiana (Vananda Shiva dell'organizzazione Third World Network) denunciò sui canali telematici che il documento annullava un protocollo speciale da adottare in caso di manipolazioni genetiche e che venivano ignorate completamente le popolazioni indigene che avevano elaborato e selezionato le specie più convenienti ai bisogni alimentari e sanitari dell'umanità, per crearne altre derivanti dalle esigenze dei paesi sviluppati. In breve tempo questo comunicato rimbalzò dai network telematici ai media ufficiali che non poterono ignorare la vera notizia. Il tentativo di Clinton finì miseramente. Un esempio recente è rappresentato dal tentativo del governo messicano di smentire l'occupazione de La Realidad e di altri villaggi nella Selva Lacandona in Chiapas. Anche in questo caso il tam tam delle reti telematiche, ha informato ora per ora su ciò che stava succedendo nei villaggi indios chiapanechi, impedendo probabilmente la sconfitta manu militari dell'esperienza zapatista. Ci hanno abituati alla comunicazione da pochi (le grandi agenzie di stampa, una decina in tutto il mondo) a molti se non a tutti, ma siamo ancora in tempo a riappropriarci di una comunicazione orizzontale configurata come una ragnatela molto fitta che possa far sentire molteplici voci in disaccordo con la verità ufficiale che sempre più spesso è poco veritiera. Le potenzialità dei nuovi strumenti tecnologici della comunicazione, però, non si esprimono solo in questa direzione. Pensiamo ad esempio alla possibilità di creare piccole o grandi comunità, più o meno virtuali, ma sicuramente più facili da realizzare, data la non obbligatorietà della presenza fisica di ognuno dei componenti, all'interno delle quali individuare degli obiettivi, organizzare movimenti per il loro raggiungimento utilizzando la comunicazione elettronica. Tali potenzialità attualmente non sono si possono esprimere perché, come abbiamo visto, siamo molto lontani dall'accesso universale a questi mezzi.

Gli elementi necessari per superare il quadro attuale

Per poter modificare questa realtà sarebbe necessario che ognuno avesse a disposizione hardware, software, connessione e formazione necessari per avere pieno e libero accesso alla comunicazione. Entriamo nei dettagli e vediamo quale è la reale situazione di accesso a questi quattro elementi e come si potrebbe cambiare.

• Hardware

L'hardware, cioè il personal computer, il modem, le periferiche, i cavi di collegamento, necessari per connettere tra loro questi componenti sono oggetti che ormai sembrano far parte integrante del nostro quotidiano, ma che in realtà sono ben pochi a possedere, o comunque a poter utilizzare liberamente, ciascuno per gli scopi che autonomamente ha individuato. Soprattutto sono ancora meno coloro che li sanno effettivamente utilizzare sfruttandoli al meglio. Ecco che vediamo entrare in gioco un altro elemento indispensabile: la formazione, cioè l'acquisizione della capacità di saper sfruttare appieno le potenzialità di questi mezzi. Per poter avere accesso a queste strumentazioni sarebbe necessario che fossero inserite in contesti di aggregazione sociale a partire dalla più tenera età nelle scuole materne per poi garantire un approccio costante nel corso della vita alle nuove tecnologie. Per realizzare ciò i governi, gli enti locali, gli organismi sovranazionali (Unione Europea, UNICEF, ecc.), ma anche le imprese, dovrebbero dare il loro contributo; questo produrrebbe secondariamente, ma contestualmente, gli altri elementi che sono necessari per poter avere accesso a queste strumentazioni: formazione, software e connessione. E' chiaro che se un bambino entra in contatto fin dai primi anni con questi strumenti si formerà al loro utilizzo molto più facilmente. Sarebbe inoltre auspicabile dare l’opportunità di utilizzare anche attrezzature considerate obsolete, facendo esperienza delle possibilità misconosciute o dimenticate che queste ‘vecchie’ macchine hanno. Dobbiamo comunque porre attenzione a non creare situazioni di serie A (in cui si utilizzano gli ultimi ritrovati della tecnologia) e di serie B (dove si fa sperimentazione sugli avanzi rottamati dall’occidente opulento), sia in termini geografici che sociali. Rimane però giusto pensare che le attrezzature informatiche e telematiche continuino ad essere utilizzate anche quando il mercato ne abbia sentenziato una fine prematura, perché è assodato che possono dare enormi vantaggi allo sviluppo della comunicazione orizzontale anche apparecchiature fuori mercato da diversi anni. Avere una propria casella di posta elettronica vuol dire accedere a gran parte delle risorse della rete Internet, se questa viene sfruttata intensivamente. Ci sono diversi sistemi per poter avere gratuitamente una casella postale e l'attrezzatura hardware può consistere in un vecchio computer 286, un vecchio modem a 2400 bps e un accesso a una BBS (gratuito) che funzioni da gateway verso Internet (Virtual Town TV di Strano Network ne è un esempio). Ben altra cosa è ovviamente avere un computer dell'ultima generazione che funzioni da host collegato con linea dedicata T1 24 ore su 24 alla rete e visibile in ogni momento in ogni più sperduto angolo del mondo. Purtroppo succede spesso che chi ha cose da comunicare si ritrovi con il 286 e non con il server superaccessoriato. Come abbiamo visto molto spesso non si danno neanche queste minime possibilità, non solo per ragioni economiche ma anche per l'ignoranza delle potenzialità pur contenute nei pur ‘invecchiati’ nuovi mezzi tecnologici.

•Software

In relazione a un altro elemento necessario all'accesso alla comunicazione telematica, il software, dobbiamo sfatare alcuni che non corrispondono assolutamente alla realtà. I media fanno a gara per dimostrare che dobbiamo essere grati alle poche multinazionali del software, che attualmente detengono la quasi totalità del mercato in questo settore, per averci dato quest'enorme patrimonio che sono i programmi che fanno funzionare i computers. La realtà è ben diversa. Il software, innanzitutto, non è stato fondamentalmente sviluppato ad opera dei presidenti e dei consigli di amministrazione di tali imprese -per tutti Bill Gates, che probabilmente ha messo le mani su delle righe di codice l’ultima volta quando ha sviluppato il Tiny Basic per l'Altair, il primo personal computer della storia, nel 1975, insieme a Paul Allen, facendoselo pagare a caro prezzo, ma furono ben pochi a comprarlo. Esiste anche un'altra storia dell'informatica, quella vera! Dobbiamo infatti ringraziare quei piccoli gruppi di cosiddetti hackers, cioè in gran parte studenti -ma non solo- come quelli che frequentavano il M.I.T. di Boston negli anni '60, che si presero la briga di mettere nei cassetti dei grandi calcolatori di allora i nastri perforati, da loro sviluppati, contenenti le sorgenti dei programmi che li facevano funzionare, rendendoli così fruibili a tutti, a costo, spesso, di falsificare le chiavi (sia quelle di metallo per aprire le porte che quelle logiche per poter usare i computers) per poter avere accesso alla consolle nottetempo. E' proprio, infatti, da quei geniali programmi che derivano i vari tipi di software che attualmente utilizziamo nei nostri personal computers. Intanto le multinazionali impiegavano i cosiddetti "camici bianchi", i capi centro, gli analisti di sistema, i programmatori senior, più impegnati a controllare che l'accesso alle risorse di calcolo fosse rigidamente e gerarchicamente organizzato piuttosto che a sviluppare idee per far funzionare al meglio quelle macchine. Questo è solo un aspetto della questione, ma deve farci riflettere sul fatto che chi avvalla diritti di copyright, brevetti e diritti vari sul software non può che essere consapevole di tali processi e ciò è dimostrato dal fatto che solo grazie ad una schiera di ottimi avvocati e di lobbies riesce a vedere riconosciuti i diritti di sfruttamento commerciale che gli permettono di accumulare enormi profitti. Dovremmo anche riflettere sul fatto che, se non si riprodurrà una situazione in cui dei soggetti che hanno voglia di "mettere le mani" su algoritmi e soluzioni hardware e software innovative, difficilmente riusciremo ad avere programmi che non siano pieni di errori e ben poco affidabili oltre che poco adatti allo sviluppo della comunicazione orizzontale fra singoli o gruppi. Le multinazionali, infatti, che vendono a caro prezzo gli attrezzi tecnologici atti a far comunicare le macchine e, attraverso queste, le diverse aggregazioni umane fra loro, fanno di tutto per ostacolare lo sviluppo che sarebbe necessario. I software, attualmente prodotti, "si inchiodano" -come viene detto in gergo informatico- spesso e volentieri, senza che l'utente abbia la possibilità di capire perché ciò avviene e l'unica cosa che gli rimane da fare è spegnere il sistema con frequenti perdite di dati e/o malfunzionamenti alla riaccensione. I motivi che hanno determinato questa situazione sono numerosi. Una delle cause possiamo ricercarla nel fatto che il software viene sviluppato da persone che beneficeranno minimamente dei profitti connessi alla loro distribuzione e commercializzazione. La Texas Instruments, ad esempio, non assume i propri programmatori e non sviluppa i propri software a Houston, dove ha la sua sede centrale, ma a Bangalore in India, dove i nuovi amanuensi vengono pagati una miseria. Il frutto del lavoro dei programmatori indiani viene poi immediatamente inviato via satellite in Texas, in questo modo essi vengono repentinamente espropriati delle loro opere d'ingegno per un pugno di riso. Altre multinazionali utilizzano programmatori russi o provenienti dai paesi dell'est europeo o del sud est asiatico che vengono letteralmente ricattati con contratti da fame a tempo determinato, scaduti i quali rischiano di essere rispediti ad infoltire le schiere dei disoccupati dei loro paesi d'origine, a meno che non accettino un ulteriore contratto a tempo determinato sottopagato. E' ovvio che sarà molto improbabile che simile forza lavoro si senta motivata a produrre software di qualità, soprattutto se incalzata dai tempi strettissimi allo sviluppo imposti dal committente per battere la concorrenza. Gli strumenti software prodotti in queste condizioni non potranno certo essere particolarmente affidabili, ma a ciò le multinazionali suppliscono con campagne pubblicitarie a tappeto (vedi il lancio di Windows 95) e con le più sofisticate tecniche di marketing, dove è prioritario costituire la più consistente base possibile di ‘pre-installato’ in modo da agganciare in maniera permanente l'utente finale. Per ovviare a questa situazione sarebbe opportuno che sia a livello di organismi internazionali sia a livello statale, che a livello di enti locali, venissero finanziati progetti di sviluppo software dando l'opportunità, in particolar modo ai giovani, di realizzare qualcosa di utile. I risultati pratici di tali progetti dovrebbero essere messi a disposizione di tutti, i software derivanti da tale attività dovrebbero cioè essere di pubblico dominio. Ai programmatori dovrebbe essere riconosciuto, oltre che un congruo compenso monetario, il diritto morale sull'opera d'ingegno da loro realizzata. Dovrebbe essere consentita la possibilità di raccolta fondi attraverso donazioni deducibili dalle tasse di singoli o di gruppi, oltre ai finanziamenti istituzionali, per l'ampliamento dei progetti. Finalmente a fronte di una parte dell'imposizione fiscale il cittadino avrebbe una contropartita tangibile e si porrebbero le basi per lo sviluppo della comunicazione orizzontale fra singoli o gruppi organizzati e quindi della democrazia... quella vera, basata sulla reale partecipazione e non sui meccanismi deresponsabilizzanti della delega.

•Formazione

Progetti simili potrebbero essere sviluppati anche per la formazione all'utilizzo delle nuove tecnologie di tutti i cittadini. Inoltre ciò permetterebbe di recuperare l'originaria etica hacker degli inizi della storia dell'informatica e della telematica, quella che vigeva in quel gruppo di studenti del laboratorio sull'intelligenza artificiale al MIT di Boston negli anni '60, il cui solo interesse era quello di realizzare qualcosa di geniale e di vederlo poi utilizzato dal più largo numero di persone possibile. La formazione dovrebbe essere promossa come educazione permanente alla comunicazione orizzontale, garantendo la conoscenza di tutti gli strumenti necessari. Se ciò fosse realizzato ci avvieremmo lungo un percorso di costruzione di intelligenza collettiva, così come in forma episodica si è dato in piccoli aggregati sociali -oltre a quelli dei primi hackers del M.I.T. di Boston ricordo anche l'Homebrew Computer Club in California- ma con dimensioni molto più ampie. Vorrei fare una parentesi sul termine hacker. Inizialmente questo termine identificava coloro che volevano mettere le mani sugli strumenti messi a disposizione dalle nascenti tecnologie informatiche. Lo scopo del "metterci le mani" era quello di realizzare degli "hack", cioè delle innovazioni geniali che facessero funzionare meglio tali strumenti. Con il tempo, e soprattutto, con le campagne scandalistiche e denigratorie dei grandi media tradizionali gli hackers sono diventati i pirati informatici capaci delle peggiori nefandezze ai danni dell'umanità. Sarebbe interessante analizzare i vari episodi di pirateria informatica presentati dai grandi media, ci accorgeremmo allora che gran parte di questi sono molto gonfiati rispetto alle loro reali dimensioni, quando addirittura non risultano scoop a qualsiasi essere delle montature giornalistiche. Da tempo, ormai, è stata infatti aperta la caccia allo scoop che abbia al suo centro la rete Internet.

•Connessione

Infine vorrei trattare l'ultimo elemento necessario per realizzare l'accesso telematico universale: le connessioni. Con questo termine intendo ciò che è necessario per far comunicare due o più computers fra loro. Ci sono diversi sistemi di connessione. A causa di tale differenza si sta sviluppando una forbice sempre più accentuata fra le diverse possibilità di accesso ai nuovi strumenti tecnologici atti a comunicare. Si sta delineando una suddivisione nella società fra nuovi ricchi e nuovi poveri determinata dalle diverse modalità di accesso agli strumenti telematici o alla possibilità di accedervi. E' infatti molto diverso connettersi alla rete Internet con un modem attraverso una normale linea telefonica commutata, o attraverso una linea dedicata T1 da 1 Megabit e mezzo al secondo costantemente attiva. In Italia, inoltre, siamo particolarmente svantaggiati da questo punto di vista: la TUT, la tariffa urbana a tempo, pesa fortemente sulle connessioni via modem su linea commutata, facendo lievitare il costo della comunicazione telematica. Per fare qualche esempio in Messico, in Irlanda ed in Austria un accesso di un mese a Internet per complessive 20 ore di effettivo collegamento equivale a circa 90 dollari. Ovviamente 90 dollari non sono la stessa cosa per un austriaco e per un messicano: quest'ultimo incontrerà difficoltà molto maggiori per raccogliere tale somma. Negli Stati Uniti lo stesso tipo di accesso scende a 30 dollari. In Canada si scende addirittura a 20 dollari. In Italia, invece, siamo posizionati intorno a 50 dollari. Questi dati danno la dimensione delle differenti possibilità di accesso telematico anche all'interno dei paesi industrialmente avanzati. Per molti paesi del terzo e quarto mondo, tali statistiche non sono reperibili semplicemente perché non è possibile accedere alla rete; milioni di persone in tutto il mondo non hanno mai effettuato una telefonata e forse mai la faranno, figuriamoci se utilizzeranno le reti telematiche. Concludendo, avremo realizzato l'accesso telematico alla comunicazione come servizio universale quando ognuno avrà a disposizione un computer collegato alla rete 24 ore su 24 tramite linea dedicata, inoltre dovrebbe essere data ad ognuno la possibilità di rendere visibile tale computer a tutti i restanti componenti l'umanità che lo desiderassero. Solo così potremmo sfruttare tutte le potenzialità dei nuovi strumenti tecnologici della comunicazione orizzontale, che darebbe ad ognuno l'opportunità di vedere la grande ragnatela della rete come un'enorme enciclopedia in continua mutazione, dove poter accedere a qualsiasi tipo di informazione, scegliendo fra innumerevoli fonti e dove sia possibile inserire tutto ciò che ognuno di noi riterrà opportuno e utile per la crescita della conoscenza globale. Probabilmente questo scenario oggi può apparire semplicemente una grande utopia, ma sono convinto che il perseguire delle grandi utopie abbia portato qualcosa di positivo nel lungo cammino della storia dell'umanità. Da sempre i voli dell'immaginazione collettiva finalizzati a migliorare la società in cui viviamo hanno costituito il motore principale della storia. Non serve ridimensionare questi sogni a priori, l'organizzazione sociale imperfetta nella quale siamo costretti a vivere ridimensiona automaticamente a piccole riforme la grande utopia. Quindi continuiamo a sognare e a gridare i nostri sogni! In Italia sarebbe opportuno che la stesura dei cavi in fibra ottica o coassiali per far viaggiare attraverso la rete video, audio, immagini oltre che testo, fosse promossa dagli enti locali per poi essere messi a disposizione di tutti i cittadini. La strada seguita per il cablaggio delle grandi città, purtroppo, e' molto diversa. Telecom Italia, infatti, nonostante sia ancora impresa pubblica, si sta comportando come la più aggressiva delle multinazionali, alla ricerca di esagerati profitti dai cittadini, tartassati dai costi necessari per accedere a quei limitati sistemi comunicativi di cui la maggioranza fruisce. Fortunatamente lo stesso sviluppo tecnologico impone dei vincoli non previsti ai piani di controllo del mercato di questo tipo. Telecom ha abbandonato il suo progetto "Socrate" per il cablaggio in fibra ottica e coassiale, essendo sempre più numerose le iniziative per far passare i dati ad alta velocità attraverso infrastrutture esistenti. Solo per fare alcuni esempi: utilizzo delle normali linee elettriche; sistema DSL che pare sarà operativo a fine '98 e che ci farà accedere a 1 Megabit e mezzo al secondo; sistemi satellitari; nuove tecnologie che utilizzano il normale doppino telefonico e che promettono velocità di 100 Megabit al secondo. Chi vivrà vedrà!

Prepariamoci a combattere una dura battaglia

Questi sono gli elementi di analisi che ritengo dovrebbero essere considerati quando si parla di nuovi strumenti tecnologici per la comunicazione. Non si tratta semplicemente di rincorrere un'utopia ma di rivendicare dei diritti che ogni cittadino dovrebbe avere dalla nascita, se vivessimo in una società che rispettasse tutti gli individui senza pregiudizi. Al contrario, oggi assistiamo ad una tendenza all'accentramento del potere (ad esempio la concentrazione delle fonti informative in sempre meno mani), ad una sempre accentuata gerarchizzazione della società, ad una sempre maggiore divaricazione fra coloro che hanno accesso alle nuove tecnologie, ed attraverso esse sviluppare le proprie capacità e potenzialità, e coloro cui tale accesso è negato, discriminati ed espropriati della possibilità di utilizzare le proprie capacità per se' e per le comunità nelle quali vivono. E' evidente che l'accesso universale ai nuovi mezzi di comunicazione non ci verrà regalato, dovremo invece rimboccarci le maniche per rivendicare di volta in volta degli obiettivi parziali che tendenzialmente conducano alla realizzazione di un obiettivo così impegnativo.