Luca Toschi

 

 

La mia attività inizia come Research Assistant nel 1971, presso la University of California di Los Angeles (UCLA). In questo campus, da una parte aveva preso il via l’avventura d’Internet, dall’altra era stata da poco scacciata Angela Davis, l’allieva di Theodor Adorno, la militante comunista accusata ingiustamente di assassinio, rapimento e cospirazione. Furoreggiavano, in quei primi mesi del mio arrivo a UCLA, i film di Charles Chaplin, riammesso nelle sale cinematografiche degli USA dopo ben venti anni di censura e d’esilio, e il neorealismo italiano.
Nelle università americane, dove ho insegnato e studiato a vario titolo fino al 1987 (fra le altre: Harvard University, Stanford University, University of Connecticut, Brown University), ho avuto modo di vedere da vicino quanto poteva essere promettente il rapporto fra ricerca di base e ricerca applicata, al di là delle possibili e pericolose confusioni fra ruolo pubblico ed interessi privati.

Entrato nel 1976 nell’università italiana come ricercatore di letteratura e filologia italiana, ho vissuto con difficoltà, ma anche con divertimento, una doppia identità: quella dello studioso di storia e teoria del testo e quella, un po’ defilata per ragioni allora ‘accademiche’, di studioso ed esperto di comunicazione.
Sotto la prima identità mi sono occupato dei rapporti fra testo creativo e mercato, industria editoriale, politica culturale (dal Cinquecento fino alla contemporaneità); sotto la seconda (ho cominciato come responsabile delle vendite all’estero di una nota marca di motociclette da cross) mi sono occupato di giornalismo, radio, televisione, pubblicità; ma soprattutto di strategie della comunicazione per enti pubblici e privati, con una crescente attenzione verso le ICT.

Nel tentativo di ampliare gli orizzonti della ricerca, a metà degli anni ’80 ho preso a studiare come il digitale avrebbe potuto raccontare in maniera inedita il divenire di un testo letterario: dalla sua ideazione fino alla stesura definitiva, alla pubblicazione e alla sua fruizione.
La stessa ricerca sul digitale mi ha portato a sperimentare e a teorizzare come stessero cambiando la fisionomia sociale dello scrittore e, in generale, tutti i processi editoriali.
Nel 1992 ha partecipato alla fondazione del Centro Ricerche e Applicazioni dell’Informatica all’Analisi dei Testi (C.R.A.I.A.T.) che, operando all’interno dell’Università di Firenze, si è fatto da allora animatore di ricerche e progetti sulla comunicazione e i linguaggi multimediali.
Sperimentando le potenzialità d’intreccio fra database e ipertesti off\on line – ricerca resa possibile dalla collaborazione e da un significativo finanziamento dell’IBM -  ho realizzato, ai primi degli anni ’90, e pubblicato successivamente un ipertesto con cui si tentava di restituire la complessa dinamica testuale di una commedia di Carlo Goldoni, e di proporre inedite possibilità di lettura\scrittura che solo il testo digitale può consentire. 
Sempre in quegli anni ho approfondito il rapporto fra letteratura, cinema, fotografica, teatro, cinema e multimedialità.

  In questa prospettiva di ricerca sul rapporto fra nuove tecnologie e scienze umane mi è stata affidata, nel 1993, la cattedra di “Letteratura italiana e informatica”, Università di Firenze. Collaboratore, in tempi diversi, di giornali (“La Nazione”, “Paese Sera”, “la Repubblica”, “Il Sole-24 Ore”), ho avuto rapporti con diverse case editrici (fra cui Apogeo, Bollati Boringhieri, Brepols-University of California Press, ECP, Einaudi, il Mulino, Laterza, Le Monnier, Marsilio, Olschki, Sansoni, Sellerio) e con gruppi editoriali come Cecchi Gori, De Agostini, Rizzoli, Vallecchi-Olimpia.
  
La mia ricerca sull’identità e il senso dell’altro nei processi comunicativi è stata influenzata dall’incontro, alla fine degli anni ‘80, con Ernesto Balducci, e dal suo modo di affrontare la riflessione strategica sui “temi planetari” della pace. Dopo la sua morte improvvisa, come direttore editoriale delle Edizioni Cultura della Pace, ho cercato di costruire una stretta collaborazione con Amnesty International.   

Nell’ultimo scorcio degli anni ’90 ho avuto modo di progettare e sperimentare i possibili potenziamenti della comunicazione nell’area della cooperazione. Si è trattato di un’esperienza assai articolata, che mi ha permesso di studiare quanto e come la rete potesse caratterizzare, rafforzare socialità ma anche crearne delle nuove (social networking). Nello stesso contesto ho potuto verificare come, per innovare veramente l’identità comunicativa di qualsiasi ente, sia fondamentale affrontare nodi culturali profondi, che spesso rasentano il senso stesso della sua ‘mission’.  
A questi stessi anni risale il mio crescente interesse per la comunicazione sanitaria, centrato sul problema di come coniugare una comunicazione ‘epidemica’, caratterizzata da grandi numeri, centrata sulla trasmissione di informazioni e di conoscenze, con il diritto\necessità che ogni individuo ha di costruirsi un ruolo attivo, creativo, fortemente attento alle proprie necessità. Comunicazione, educazione, formazione. In questa prospettiva si colloca il mio interesse verso il fenomeno del digital divide, così come verso i contrasti fra digital native e digital immigrant. La mia pluriennale collaborazione con l’Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca Educativa (dal 2003) trova le sue ragioni nell’importanza strategica che ho attribuito a queste problematiche, viste sempre non come limitate all’ambiente scolastico ma come una questione centrale per l’intera società. Un’ottica che ho conservato e, se possibile, potenziato da quando (2006)  ho preso a collaborare con l’OECD\CERI.

  Questi interessi hanno fatto sì che da sempre la mia ricerca si sia focalizzata sulla necessità di abbattere il muro che ancora oggi separa, negli enti pubblici e privati, la comunicazione interna dalla comunicazione esterna: e questo in nome sia di una valorizzazione effettiva delle loro diversità sia di un’idea di identità comunicativa e di modello generativo della comunicazione che ritengo aspetti fondanti per la società presente e soprattutto futura.
Ho sempre ritenuto che il valore innovativo delle ICT dovesse essere ricercato, non tanto in un loro provvidenziale, intrinseco valore aggiunto, ma nella direzione di una strategia d’imprescindibile integrazione fra digitale e non digitale, di reciproca, continua ibridazione fra dimensioni tenute ancora oggi separate, in direzione cioè, in questo caso sì, di una dimensione del tutto nuova.
Le sperimentazioni compiute sulla sceneggiatura multimediale (di cui fa parte anche il mio filone di studio sui Piani di comunicazione) sono il punto di convergenza fra le ricerche sulla strategia di comunicazione e sul linguaggio digitale.

  Dal 2003 è stato crescente il mio interesse verso i rapporti fra  comunicazione  e i problemi relativi alla sicurezza e alle situazioni di pericolo e di crisi, sempre inquadrati però non come argomento a sé, una sorta di tematica speciale, ma come ‘scenario’ e ‘gestione’ di valori quotidiani. L’attuale mio impegno presso la Regione Toscana risponde pienamente a questa prospettiva.

  Nelle mie esperienze private e pubbliche è stato fondamentale l’aiuto di alcune persone, senza le quali non avrei potuto né potrei svolgere la mia attività di studio e di ricerca. Persone che hanno contribuito e contribuiscono oggi a dare un senso alla mia identità.
Ma perché la pubblicazione dei loro nomi non rischi di sembrare un tentativo maldestro di voler vincolare quelle stesse persone a conservarmi la loro amicizia, ricordo qui unicamente coloro dei quali oggi posso avere soltanto la memoria: Giulio Bollati, Fernand Braudel, Lanfranco Caretti, Robert S. Dombroski, Fredi Chiappelli, Giancarlo Mazzacurati, Dino Pieraccioni, Ernesto Ragionieri, Sergio Romagnoli, Marcello Tarchi, Sebastiano Timpanaro, Giancarlo Vigorelli. Due citazioni vanno a parte.
La prima è quella di Raffaele Laporta, nelle vesti remote di Preside della Scuola-Città Pestalozzi di Firenze, una delle pochissime scuole laiche a cavallo fra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60, dove, come studente delle elementari (terza e quarta), ho avuto modo di sperimentare quanto sia importante partecipare alla vita ‘politica’ di una comunità come la propria scuola, e in quante forme diverse lo si possa fare (cuoco, portiere, bibliotecario, giardiniere, cameriere, magazziniere, etc. etc.; come elettore e come eletto). A lui, che appena ricordo, sono debitore di tutte le difficoltà che ho incontrato nell’altra scuola.
La seconda citazione è quella di padre Ernesto Balducci, che ha segnato la mia svolta più profonda, al punto da convincermi che quell’incontro abbia rappresentato per me la fase iniziale di un’altra parte della mia esistenza. Aver lavorato quotidianamente accanto a lui, negli ultimi due anni della sua vita, aver cercato goffamente di dirgli le mie ragioni, di resistergli - l’ultima, la sua più generosa provocazione, poche ore prima che morisse -, è la ragione principale per cui ho abbandonato definitivamente gli studi di teoria e storia del testo per dedicarmi unicamente alla comunicazione. Le mie due parti iniziarono allora a cercarsi, nel tentativo di tornare, forse, insieme. Il 12 maggio 1980 Italo Calvino, da Torino, scrivendomi a proposito di un libro-saggio che pensava di pubblicare nella collana Einaudi “Centopagine”, mi sollecitava a non barricarmi dietro espressioni accademiche come “odeporico”, preferendo decisamente, nel caso specifico, “racconto di viaggio”. Quel consiglio è rimasto dentro di me come un memento fondamentale. Nondimeno, ancora oggi riconosco di scivolare su queste insicurezze; ogni tanto, confondendo l’autorità con l’autorevolezza, il che, per uno che vorrebbe essere comunicatore, e non solo studioso di comunicazione, è errore non da poco.  

Insegno “Teoria e tecnica della comunicazione multimediale” nel corso di Laurea specialistica “Teorie della comunicazione”, di cui sono Presidente dal 2003.
Insegno anche “Teoria e tecnica dei nuovi media” e “Comunicazione mediata dal computer” nel corso di laurea triennale “Formatore multimediale”. La sede è quella della Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Firenze.  Insegno inoltre “Teoria e tecnica delle comunicazioni di massa” presso il corso di laurea Triennale in “Comunicazione Linguistica e  Multimediale”, Facoltà di Lettere e Filosofia, sempre dell’Università di Firenze.
Coordino anche il corso di perfezionamento “Comunicare e insegnare. Verso l’uso futuro della lavagna digitale sulla lavagna digitale” (inserire il link alla pagina di questo sito relativa) e i Master "Comunicazione Istituzionale Sanitaria: web strategies" (Università di Firenze: www.csl.unifi.it/mastersanita) e “Gli e-tutor negli ambienti di apprendimento on line” (presso la Italian University Line: www.uline.it ).

 

Pekka Himanen

 

Pekka Himanen è docente presso le Università di Helsinki e di Berkeley. Ha fatto parte del gruppo di consulenza della Presidenza del Consiglio finlandese incaricato dello studio del piano strategico per le nuove tecnologie. Bisogna comunque ricordare che gli hacker non sono soltanto i pirati che rubano in maniera fraudolenta dati o inventano infernali virus che rovinano i nostri computer, ma più significativamente sono coloro che, grazie allo sforzo collettivo e alla condivisione dei propri saperi, immaginano e costruiscono strumenti tecnologici innovativi, destinati a cambiare la vita di tutti noi. È stato così per la nascita del personal computer, per il modem, per Internet, per le realtà virtuali.

 

 

 

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