home | biografia | interviste | conferenze | le sue opere | cont@tti | credits | indice corso

 

 

"LA COMUNICAZIONE IN RETE? Universale e un po' marxista"

Il filosofo francese Pierre Levy argomenta sugli aspetti caratterizzanti la comunicazione in rete.

Ci può spiegare che cosa intende per universalità senza totalità? Sono due istanze diverse?

L'idea dell'universale senza totalità mi è venuta quando ho tentato di comprendere quale fosse l'essenza della cybercultura. A mio parere la cybercultura non è la cultura dei fanatici della rete o della gente che passa il suo tempo a navigare sul Web, è, piuttosto, lo stato della cultura quando il cyberspazio diventa il mezzo di comunicazione dominante. Probabilmente, tra qualche anno - ma già fin d'ora- il cyberspazio diventerà il centro di gravità nell'ecologia della comunicazione. Parlo di "universale" in primo luogo perché una delle idee-forza della cybercultura è l'interconnessione tra tutti i computer, tra le persone che stanno dietro i computer. Coloro che usano i computer in rete possono comunicare tra loro in modo originale, perché in Internet non c'è un'emittente con un gran numero di utenti passivi e dispersi, come sono in questo momento i telespettatori, isolati gli uni dagli altri; d'altra parte, non è nemmeno come col telefono, in cui la comunicazione è veramente reciproca e interattiva, ma avviene da individuo a individuo, singolarmente, in dialoghi che non sboccano nella formazione di una comunità, nella formazione di un collettivo. Il genere di comunicazione che si stabilisce nella cybercultura è al tempo stesso reciproco, interattivo e comunitario. Questa comunicazione, dunque, è universale perché tende all'universalità, per cui chiunque può virtualmente diventare emittente, non in direzione di un singolo individuo, ma di un insieme di individui. L'estensione dell'interconnessione manifesta il fatto che l'umanità sia una; questo intendo per "universale", se si prende l'idea di universalità nel senso illuministico di porsi come compito l'unità del genere umano e affermare principi universali come i diritti dell'uomo. Anche la scienza è qualcosa di universale; certe religioni pretendono di essere universali. Ma, mentre gli antichi universalismi si costruivano sul fatto che ci fosse qualcosa di valido per l'intera umanità, oggi, l'elemento universale che si costruisce con la cybercultura, non è la stessa cosa per tutti e dappertutto. Tutti gli esseri umani, virtualmente, possono entrare in contatto reciproco e prendere coscienza collettivamente della loro esistenza. Perché allora parlo di universale senza totalità? Perché quanto più si estende l'interconnessione, tante più cose diverse ed eterogenee sono messe in circolazione sulla rete, e non c'è un'istanza che regoli o controlli dal centro, che sia in grado di avere un controllo globale. Parlo, dunque, di universalità nel senso che l'umanità comincia a prendere coscienza di sé, ma questa presa di coscienza non ha un senso unico e non passa per un punto centrale e non sta sotto un'unica legge, come nella scienza, in cui, per esempio, la gravitazione universale è la stessa dappertutto. Nella cybercultura ciò che è interessante è la messa in contatto di tutte le differenze e di tutte le eterogeneità. Perciò parlo di universalità senza totalità.


Che cosa intende per virtuale?

Credo che sia importante sottolineare, in primo luogo, che virtuale non è il contrario di reale: un oggetto virtuale non è qualcosa di inesistente; ciò che è virtuale esiste senza esser là, esiste senza avere, perciò, delle coordinate spazio-temporali precise. Si può fare un esempio molto semplice: la parola "albero" o la parola "virtuale", non si può dire dove siano. Sono nella lingua, ma dov'è la lingua? E' in uno spazio virtuale. Viceversa, una parola si attualizza ogni volta che qualcuno la pronuncia, ogni volta che qualcuno la scrive, si attualizza ogni volta con un senso diverso in un contesto diverso. In questo senso, il virtuale è qualcosa che esiste potenzialmente, con possibilità di attualizzazione inventiva. A mio avviso il virtuale è assolutamente costitutivo dell'umano, poiché l'essere umano non vive semplicemente; vive anche in un mondo virtuale: il mondo del linguaggio, il mondo dell'organizzazione sociale complessa.


Nel Suo libro, "Il virtuale", Lei parla di una idea di virtualizzazione attraverso la quale la storia umana si è sviluppata.

A mio avviso, i tre elementi che definiscono l'umanità in rapporto agli animali, sono il linguaggio, la tecnica e l'organizzazione sociale complessa; questi tre elementi appaiono simultaneamente e sono veramente costitutivi dell'umano. E ogni volta, se si analizzano precisamente le cose, ci si rende conto che si tratta di virtualizzazione. Per esempio, grazie al linguaggio, si sfugge al qui e all'ora, si sfugge alla attualità, perché si può raccontare il passato, prevedere il futuro, inventare delle narrazioni; mediante la tecnica si sfugge anche all'hic et nunc dell'azione fisica. Se invento e costruisco un utensile, questo utensile rappresenta una riserva virtuale di azione, che non è più legata al corpo proprio di una persona, ma può circolare, è una virtualità d'azione; e, d'altra parte, si può considerare il "contratto", per esempio, che è in qualche modo l'elemento di base della relazione sociale complessa e che non esiste tra gli animali, come la virtualizzazione di un rapporto di forza, la definizione di un rapporto tra esseri umani che sfugge all'hic et nunc ed entra in circolazione. Tutta la storia dell'economia - uno degli aspetti per i quali gli esseri umani entrano in rapporti reciproci -, è una storia della virtualizzazione del rapporto con le cose. Se si passa dal baratto allo scambio monetario e alla lettera di cambio o, infine, agli strumenti finanziari che conosciamo oggi, si vede chiaramente come nella storia dell'economia ci sia una virtualizzazione progressiva degli scambi. Ciò che stiamo vivendo oggi con lo sviluppo dell'informatica e del cyberspazio è un prolungamento del processo di virualizzazione proprio dell'uomo. Vediamo rappresentati, nel cyberspazio, tutti gli aspetti dell'umanità e soprattutto la dimensione del linguaggio, perché c'è una grande quantità di nuovi linguaggi che si inventano i base ai nuovi rapporti: l'ipertesto, le realtà virtuali, la multimedialità interattiva, le simulazioni sono tutte forme di linguaggio nuove. Tutto un nuovo universo tecnico si sviluppa con il digitale e, parallelamente, si inventano nuove forme di relazione economiche o di altro genere tra le persone con la mediazione del cyberspazio. Una comunità virtuale è una comunità che si organizza intorno a centri di interesse, intorno, cioè, a qualcosa di virtuale; non si sta insieme perché si abita nello stesso luogo o si appartiene alla stessa istituzione, ma si interagisce gli uni con gli altri, si hanno le stesse idee o le stesse competenze o gli stessi centri di interesse perché si condividono dei progetti. Preciso che il fatto di partecipare a comunità virtuali, cioè a forme di discussione che io trovo affini a quelle comunità di scienziati del XVII e del XVIII secolo, che entravano in corrispondenza sui temi delle loro ricerche - in fondo, nel cyberspazio si scambiano lettere, si intrattengono relazioni epistolari - non esclude affatto la possibilità di incontri effettivi concreti. Si può organizzare un colloquio su Internet o preparare una riunione reale con la posta elettronica e poi incontrarsi effettivamente, mentre, d'altro lato, si può dire che una comunità virtuale è una attualizzazione di comunità che prima restavano astratte. Se dico: "Tutte le persone che commentano l'opera di Heidegger", definisco un insieme astratto; se si apre su Internet un forum di discussione concernente l'opera di Heidegger, tutti quelli che si appassionano a questo tema possono entrare effettivamente in contatto gli uni con gli altri. La comunità virtuale non è una comunità che non esiste o che non ha corpo. Al contrario, è una comunità che prende corpo con l'effettiva interazione.


A questo proposito anche il ruolo della scuola è molto importante per trovare lavoro o aiutare le persone che restano escluse dall'uso delle nuove tecnologie. Lei pensa che la scuola, l'educazione possa avere un ruolo in questo settore?

Sì, forse. Dico una cosa poco originale, ma credo che, contrariamente a quello che si pensa, lo sviluppo del cyberspazio non rappresenta affatto la fine della lettura e della scrittura, ma, al contrario, mostra che scrittura e lettura sono sempre più importanti. Che cosa si fa quando si naviga su Internet o quando si usa la posta elettronica? Si legge e si scrive, molto più di quanto non si guardino le immagini. La scuola primaria, la scuola elementare nel suo ruolo d'insegnamento della lettura e della scrittura è assolutamente fondamentale perché, in fondo, ogni esclusione concernente il rapporto con il sapere comincia là, comincia quando non si potenziano gli strumenti di base della comunicazione scritta; non si tratta soltanto di sapere leggere e scrivere, ma anche di sapersi servire di un dizionario, sapersi servire di un indice, sapersi orientare in un centro di documentazione. Le operazioni cognitive che ho enunciato possono essere perfettamente usate anche per orientarsi nel cyberspazio o nel World Wide Web e nelle nuove condizioni ambientali informatizzate.


Lei ha detto che con Internet si è realizzata quasi una vera rivoluzione, che si stanno realizzando le teorie di Marx.

Marx preconizzava l'appropriazione dei mezzi di produzione da parte dei produttori. Questo non vuol dire che oggi tutti i mezzi di produzione si possano ridurre al computer e alla rete, ma non di meno molti mezzi di produzione vi si collegano. Che cos'è il lavoro oggi? E' navigare nell'informazione, produrre informazione, simulare, comunicare, cooperare, scambiare conoscenza. D'ora in poi tutto questo può essere fatto semplicemente con un PC e la connessione in rete. In un certo senso c'è una riappropriazione individuale delle principali multiproduzioni della nostra epoca. Il fatto che ci sia questa possibilità non vuol dire che la rivoluzione sia realizzata, direi, anzi, al contrario, che anche quando il produttore possiede questi mezzi di produzione, non si verifica nessuna trasformazione radicale della società....


E' necessaria una preparazione culturale per iniziare a selezionare l'informazione; dunque, non si può dire che si è arrivati ad una vera uguaglianza.

Innanzi tutto, vorrei sottolineare che c'è più uguaglianza di prima, nella misura in cui è possibile a un numero sempre crescente di persone di emettere messaggi per un largo pubblico. Le persone che pubblicano libri sono un numero limitato; un numero estremamente limitato di persone può esprimersi alla televisione, mentre nel cyberspazio non c'è nessuna limitazione. Ma non bisogna esagerare: ci sono meno limitazioni a priori per chi voglia far circolare un testo o un film o della musica; non c'è più la mediazione obbligatoria dell'editore, del direttore della casa discografica, del produttore televisivo; si assiste, dunque, ad una soppressione, ma non ad una soppressione completa, piuttosto, ad un declino del ruolo degli intermediari. Dalla parte dell'emissione di informazioni, è chiaro ed evidente che ci sia più libertà; dalla parte di quelli che cercano l'informazione il problema più importante è quello di filtrarla, selezionarla, ordinarla per farne la sintesi. E' un lavoro che spetta a ciascuno, agli individui e ai gruppi, e bisogna ricordare che gli individui non sono necessariamente isolati di fronte al diluvio di informazioni, ma possono associarsi e svolgere collettivamente il lavoro di filtraggio e di selezione. Tra le funzioni delle comunità virtuali e dell'intelligenza collettiva c'è anche quello di operare questo filtraggio, questa selezione. Non si può più immaginare che ci siano istanze incaricate di fare la selezione per gli altri. Anche in questo senso dico che c'è più libertà, oggi. Ciò richiede, evidentemente, delle capacità che devono essere sviluppate con un'educazione di base, richiede spirito critico, richiede capacità di selezionare e di elaborare i problemi.


Quali sono le strade che aprono allo sviluppo della cybercultura?

Per semplificare, io direi che ci sono due vie che si aprono allo sviluppo della cybercultura. Da un lato si può andare verso l'intelligenza collettiva, verso una condizione in cui tutti possono partecipare agli scambi di conoscenza o a quella interazione planetaria di cui parlavo poco fa; d'altro lato si può riprodurre il funzionamento dei media tradizionali su una scala più grande, con un po' più di interattività, ma restando nello schema classico: emittenti da un lato e ricettori dall'altro. Sta a ciascuno scegliere e assumersi le sue responsabilità. Bisogna sapere che ogni volta che si opta per un particolare comportamento si spinge l'evoluzione culturale in un senso o nell'altro.


Lei ha parlato di memoria collettiva. Che cosa può aggiungere su questo tema?


La memoria è un fatto socio-tecnico; noi abbiamo una memoria biologica che ha dei limiti ma, con l'invenzione della scrittura, anzi, prima con l'invenzione della tecnica, c'è stata una specie di esteriorizzazione della memoria, ancora più grande della memoria umana, e al tempo stesso una socializzazione della memoria, perché una cosa scritta non esiste più soltanto nei nostri riflessi, nel nostro saper fare corporeo, è qualcosa che può essere consultato e riusato da altri. Con lo sviluppo del cyberspazio e di tutte le memorie dinamiche su supporto informatico c'è una esteriorizzazione ancora più grande della memoria e, al tempo stesso, una più grande collettivizzazione, poiché ognuno può intervenire quasi in tempo reale su queste memorie dinamiche e imprimervi delle trasformazioni. E, inoltre, c'è una maggiore facilità di accesso.


Con le nuove tecnologie non si corre il rischio della deterritorializzazione, nel senso della scomparsa dei luoghi fisici per la realizzazione di una relazione? Oggi, con la virtualizzazione dei rapporti, a che rischi si va incontro?


Questa storia dei luoghi fisici è molto importante, molto interessante. Si immagina comunemente che ci sia un solo spazio reale, lo spazio fisico e geografico; questo è falso, perché esiste un gran numero di spazi: c'è lo spazio fisico e geografico, c'è lo spazio affettivo. Se non Le dispiace, mia moglie mi è più vicina, nello spazio affettivo, anche se in questo momento è a Parigi, di Lei che è a due metri da me. Lo spazio affettivo non coincide con lo spazio fisico e lo spazio semantico, a sua volta, può essere differente dallo spazio affettivo e dallo spazio territoriale. Esiste un gran numero di spazi sovrapposti gli uni agli altri; se non ho alcuna relazione economica con il mio dirimpettaio, perché non gli vendo e non gli compro niente, ma faccio invece commercio internazionale con uno che si trova a Hong Kong, nello spazio economico sono più vicino a Hong Kong che al mio dirimpettaio. Ora, quando tutti erano contadini e abitavano in piccoli alloggi, lo spazio fisico, geografico, territoriale era identico allo spazio affettivo: tutti quelli che si potevano conoscere, che si potevano amare, appartenevano al villaggio. Lo stesso si dica dello spazio economico, perché non si potevano avere relazioni economiche che con la gente del proprio villaggio. Dunque, un tempo c'era una sovrapposizione di spazi, mentre tutta l'evoluzione sociale, da due o tre secoli a questa parte, va verso una dissociazione degli spazi gli uni rispetto agli altri. Quello che avverrà con lo sviluppo della cybercultura è un prolungamento di questo processo di dissociazione. Ma bisogna comprendere che, in effetti, la cybercultura realizza un avvicinamento delle persone: avvicina coloro che si muovono nella stessa sfera di interessi; nel cyberspazio, queste persone possono contattarsi realmente. Non c'è perdita della realtà o perdita del territorio o perdita del corpo! La perdita, in un certo senso, è nella dissociazione degli spazi gli uni in rapporto agli altri. La verità è che lo spazio fisico non corrisponde più allo spazio economico, allo spazio semantico, allo spazio relazionale.