Gli alberi di Fiorili
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Noto con piacere che la storia di Un’ambigua utopia suscita ancora, a più di vent’anni di distanza, qualche curiosità. Ho letto su Intercom l’ampia rievocazione che ne ha fatto Piero Fiorili: l’ho fatto con divertimento, e anche con un po’ di nostalgia, e mi sono ricordato delle varie occasioni (non tantissime, ma ricorrenti) in cui qualcuno mi ha chiesto – a volte anche quasi proposto – di scrivere qualcosa sull’argomento. L’unica volta che l’idea si è concretizzata è stato però nel 1999, quando la rivista MIR – Men in Red (organo romano non ufficiale dei gruppi di "ufologi radicali") dopo aver citato UAU tra i suoi "progenitori", mi ha chiesto di scrivere qualche considerazione su quell’esperienza. Propongo adesso questo articolo anche ai lettori di Intercom perché credo che sia interessante avere anche un altro punto di vista, non necessariamente contrapposto a quello di Fiorili, né tanto meno teso a correggere le sue (peraltro pochissime) imprecisioni. È una rievocazione, la mia, che non regge il confronto, come vi renderete conto leggendola, con l’acribia mnemonica del suo pezzo, che a questo punto si pone come una pietra miliare della memorialistica relativa a un’esperienza che è stata citata (non da me, ma da Pablo Echaurren e Claudia Salaris) come un’esperienza significativa della deriva dell’estrema sinistra negli anni dopo il 77. Fiorili dimostra infatti di possedere una memoria molto più tenace e minuziosa della mia, che fa il pari con la sua curiosità analitica (mi sembra di ricordare che fra le sue letture preferite ci fosse Bouvard e Pécuchet di Flaubert). Ricorda addirittura meglio di me episodi ai quali non ha assistito ma che, come lui stesso afferma, gli hanno riferito, come un incontro di UAU con Leonardo Coen alla convention europea di Stresa nel 1980, che dalla mia memoria sono invece scomparsi: ma dal momento che il mio comportamento in quell’occasione, a suo dire, fu per lui motivo di conforto, non posso che rallegrarmene. Naturalmente Fiorili non cita episodi ai quali non ha partecipato, come il convegno di Piacenza del 1978 "La produzione mentale" (rievocato nel mio articolo), o ne dà una versione "ridotta", come quando degrada la mostra-convegno "Il gatto del Cheshire" del 1982 a "mostra di ologrammi", per quanto "prestigiosa e faraonica". Così a proposito di quest’ultimo evento dimentica di citare il nono (e autentico ultimo) numero della rivista, che fu appunto il catalogo di quella manifestazione: dimenticanza scusabile perché nel maggio dell’82, come lui stesso ricorda, egli era ormai del tutto fuori dalle nostre attività, e quel numero non venne praticamente distribuito se non nei giorni della mostra (se lo ricordo è solo per la gioia dei collezionisti, alcuni dei quali, nel corso degli anni, mi hanno chiesto informazioni sull’esatta numerazione della rivista). E non perdemmo affatto la rubrica su Linus perché Oreste Del Buono si dimise, anzi non la perdemmo affatto: solo che l’unico che scriveva, a un certo punto, era io, così smisi di firmarmi UAU e misi il mio nome. Ma queste, lo ripeto, sono inezie che non inficiano il valore memorialistico del suo scritto. L’unica imprecisione che mi appare più grave è quando riduce la "colonna genovese" al solo Claudio Asciuti, quando tutti sanno – e i lettori di Intercom forse meglio di altri – che il gruppo genovese di UAU si formò sulla convergenza del collettivo "Delle ombre" di Claudio Asciuti e dalla fanzine Crash di Domenico Gallo.