Hacktivism

Berardi Franco

"Comunicare in movimento. I mille volti del mediattivismo"

(articolo di Dessì, Di Domenico, Lupoli, 2001)

Le immagini che scorrono sul teleschermo sono di bassissima qualità, in formato Real video come si scoprirà successivamente. Ma l’irruzione della polizia nella scuola Diaz di Genova è visibile in tutta la sua crudezza. In basso, a destra, spicca il logo del Tg5. «Dove nell’originale appariva la (((i))) di Indymedia» (http://www.italy.indymedia.org/), ripete Carloz, uno dei volontari del network antagonista. Lo stesso sarebbe avvenuto con alcune immagini pubblicate dal Corriere della Sera: i frame dei "no global", girati con mezzi di fortuna nella concitazione di quegli istanti, "piratati" dai grandi media.
Una vicenda (http://www.lanuovaecologia.it/iniziative/movimenti/275.php) che, a distanza di oltre un anno, pare destinata a finire nelle aule di un tribunale. Ma quel che più conta è che questo inedito atto di pirateria al contrario rappresenta il primo incontro-scontro tra due mondi lontanissimi. Da un lato l’informazione ufficiale, con i suoi milioni di lettori e spettatori e i suoi miliardi di investimenti pubblicitari. Dall’altro una moltitudine di mediattivisti, videomakers o semplici “cronisti per caso” che con attrezzature casalinghe documentano ciò che accade e che, spesso, non ci viene raccontato. «La diffusione e la pratica d’uso degli stessi mezzi di comunicazione personale come cellulari, videocamere e computer – spiega Arturo Di Corinto, giornalista e autore per la manifestolibri di Hacktivism: la libertà nelle maglie delle rete (302 pp., 16,50 euro) – hanno sviluppato la consapevolezza individuale e collettiva di fare informazione senza doverla delegare ad altri: essere cioè editori di se stessi». Nascono così reti di comunicatori che agiscono secondo schemi innovativi, che si integrano e si moltiplicano grazie a internet: il vero metamedium intorno al quale sembrano tornare a nuova vita i mezzi tradizionali della libera informazione come la radio e la televisione.

NET GENERATION

Ma quanti sono i media indipendenti in Italia? E nel resto del mondo? «Stiamo parlando di mezzi di comunicazione di massa che fanno informazione autogestita, dal basso e alternativa a quella ufficiale – prosegue Di Corinto – Se prendiamo questi tre concetti come riferimento per definire i media indipendenti, potrei dire che in Italia ce ne sono centinaia, in Europa e negli Usa migliaia. Fare un censimento però è praticamente impossibile».
La nascita del mediattivismo è strettamente legata a quella del movimento.
Indymedia.org (http://www.indymedia.org/)“apre i microfoni” a Seattle, nel dicembre del 1999, per raccontare le proteste contro il Wto. Oggi conta oltre 90 media center in tutto il mondo: dall’Argentina a Israele, passando per il nostro Paese. Ha una televisione via cavo negli Stati Uniti e una web radio. E soprattutto è un sito a pubblicazione aperta (open publishing): chiunque può contribuire con registrazioni audio e video, immagini, articoli, comunicati che vengono pubblicati direttamente in rete senza filtri né censure. Il nodo da sciogliere è però la distinzione tra gli articoli, l’informazione vera e propria, e il newswire, la pubblicazione libera. Una distinzione al centro di una polemica tra il network alternativo e il settimanale Diario. In primavera infatti, nella sezione newswire di Indymedia, compaiono alcune scioccanti fotografie (poi circolate ampiamente in rete) che dimostrerebbero le orribili responsabilità dell’esercito israeliano nel massacro di Jenin dello scorso aprile. «Che tipo di informazione è quella di un sito come Indymedia – scrive Giacomo Papi sul sito del periodico diretto da Enrico Deaglio – che accostando un servizio di informazione reale e indipendente a vario pattume raccolto in giro o postato da anonimi lettori, rende di fatto impossibile distinguere ciò che è veramente successo da quello che si vorrebbe fosse successo per sostenere le proprie tesi?». Pronta la replica di Di Corinto: «La parte informativa di Indymedia è il frutto di tecnologie semplici, telefono, mailing list, chat di discussione: dove delle persone decidono di parlare di una certa cosa, qualcuno scrive un testo, lo ripassa agli altri, si verifica e diventa un articolo». Differente, anche dal punto di vista grafico (è posta sul navigatore destro con uno sfondo di colore diverso) è la parte dell'home page dedicata al newswire che consente a chiunque di pubblicare notizie, fatti, segnalazioni. «Su questo non ci possiamo neppure porre il problema se il contenuto è stato verificato o se è lavoro giornalistico – spiega l’autore di Hacktivism – Sono delle persone che dicono le cose che sanno, le dicono come le sanno e come sono capaci di dirle».
Le relazioni tra informazione indipendente e movimento non si esauriscono però con Indymedia. Lo dimostrano le numerose esperienze maturate anche in Italia. A partire da Isole nella rete (http://www.ecn.org/), una delle prime comunità virtuali italiane, impegnata dal 1996 a garantire l’accesso libero e indipendente ai mezzi di comunicazione. C'è poi Informationguerilla.org, un sito che offre «un’attenta selezione di ciò che viene prodotto da altre fonti per darne più visibilità» e che si ispira a una frase Marshall McLuhan, il padre della comunicazione moderna: «La terza guerra mondiale sarà un conflitto dell’informazione, senza distinzioni tra la partecipazione militare e civile». Ma gli apporti teorici più interessanti del panorama dei media indipendenti provengono, probabilmente, da Rekombinant (http://www.rekombinant.org/): un progetto di Matteo Pasquinelli che punta a diventare luogo di approfondimento per una serie di tematiche che vanno dal movimento globale alla bioingegneria, "ricombinando" idee provenienti da ambienti sociali e culturali diversi. Multimediale invece l’esperienza del no-news magazine Carta (http://www.rekombinant.org/ )che dall'edicola è passata al web, sperimentando ora un approfondimento radiofonico settimanale: mezz’ora di parole e musica ospitate da diverse radio comunitarie e cittadine. Poi Infoxoa (http://www.infoxoa.org/), Zabrinskypoint (http://www.zabrinskypoint.org/), Peacelink (http://www.peacelink.it/), Unimondo (http://www.unimondo.org/), Clorofilla (http://www.clorofilla.it/ )con il suo sguardo su ambiente e società. E ancora Ciranda (http://www.ciranda.net/publique/index.htm): il girotondo internazionale dell’informazione indipendente. «La proposta è aperta a pubblicazioni e giornalisti che resistono al pensiero unico – si legge sul sito – e che sono disposti a costruire una stampa capace di partecipare, sul terreno decisivo della comunicazione, alla battaglia per la trasformazione della società».

TV FAI DA TE

Tra le nuove frontiere del mediattivismo, sempre sfruttando le maglie del web, c’è anche la televisione fai da te. Le tecnologie digitali rendono ormai possibile da un lato montare ed editare in modo relativamente semplice i propri filmati, dall’altro metterli a disposizione in tutti i formati scaricabili dalla rete.
Basta una videocamera digitale, un computer con scheda di acquisizione video e una connessione a internet. E i nodi si moltiplicano non solo per mettere in comune i risultati di questo lavoro, ma anche per fornire il know-how necessario. New global vision per esempio, dietro lo slogan «Spegni la tv», si propone di «creare una rete di canali video on line indipendenti e a costo minimo». Sul sitohttp://www.ecn.org/ngvision/newsite/ si trovano decine di video creati da diversi collettivi e una sezione dedicata ai software necessari alla produzione, compressione e condivisione dei materiali.
Ma c’è anche chi, senza ricorrere al digitale, cerca di innescare attraverso l’occupazione dell’etere lo stesso processo che accompagnò la diffusione delle radio libere negli anni Settanta. È la strategia del progetto Telestreet, una rete di televisioni territoriali e di quartiere di cui Orfeo tv, nata lo scorso giugno a Bologna, è la primogenita. Un'altra, che ha avuto vita breve, è Candida tv, animata da un collettivo romano di videomaker. Emittenti di quartiere perché il segnale emesso, grazie a un impianto che costa meno di mille euro, può essere ricevuto nel raggio di soli trecento metri. La tecnologia è elementare: basta sfruttare i numerosi coni d’ombra delle altre emittenti. «L’idea – spiega Franco “Bifo” Berardi, mediattivista ante litteram e tra i promotori del progetto – scaturisce dalla necessità di reagire in modo creativo a quello che percepiamo come un regime mediatico totalitario. Ma anche – aggiunge – dal bisogno di offrire un nuovo strumento al proliferare del mediattivismo». Anche in questo caso internet offre una connessione globale alle molte emittenti locali che stanno nascendo. «Colleghiamo la rete alle tv di strada – esorta Bifo – Sono due realtà minoritarie, ma se in ogni quartiere ci sarà un gruppo di mediattivisti che prendono e scambiano materiali via internet e li trasmettono al vicinato, allora si inizierà a scalfire il potere delle televisioni corporative».

ONDE LUNGHE

Il nome di Bifo è legato a un’esperienza storica di quella che negli anni Settanta si chiamava “controinformazione”: radio Alice di Bologna. Da quel momento, era il '76, le emittenti “pirata” si sono moltiplicate, spegnendosi e riaccendendosi mille volte, dando voce alle idee di intere generazioni. Quelle ancora in vita, ma anche quelle nate negli ultimi anni confidando nella forza dell'informazione parlata, affrontano una nuova sfida: lo sbarco nella “Libera repubblica del Web”. Quasi tutte, da Radio Sherwood (l'emittente "disobbediente" delle Tute bianche padovane) a Radio Popolare (http://www.radiopopolare.it) (lo storico newtwork indipendente sostenuto dall'azionariato degli ascoltatori), trasmettono via etere ma anche con lo streaming offerto dalla rete.
«Oggi il movimento è molto orientato verso la comunicazione, l’informazione, la possibilità di creare spazi liberati di dibattito – dice Massimo Carboni di Ondarossa (http://www.ondarossa.info/), dal 1977 voce del movimento romano – Quindi noi, radio di movimento, non facciamo altro che metterci in relazione con nuovi soggetti. È un segno di salute». La radio romana, proprio in questi mesi, sta lottando per continuare a vivere e a trasmettere sugli 87.9 Mhz. La sospensione dell'ordinanza di chiusura è stato uno dei successi della manifestazione organizzata nel marzo scorso, che ha seguito le perquisizioni nelle sedi di Indymedia e ai danni di molti mediattivisti presenti a Genova. Con lo slogan «Reclaim your media», i 20mila manifestanti scesi in piazza a Roma hanno riacceso il dibattito sul ruolo dell’informazione indipendente e sulla libertà d’espressione. «Il dato politico è stato eccezionale, siamo riusciti a raccogliere una solidarietà talmente vasta che ha lasciato il segno – continua Massimo – Non è una medaglia da mettere a Ondarossa o a Indymedia, è un segnale del movimento: l’occasione per ricomporre tutto quel chiaccherare sull’informazione».
Ondarossa è una delle emittenti di Radio Gap: un circuito composto da cinque radio (K Centrale e Città 103 a Bologna, Ciroma a Cosenza, Onda d’urto a Brescia) e da un’agenzia d’informazione, Amisnet (http://www.amisnet.org/). Il Global audio project (Gap) nasce nella primavera del 2001, pochi mesi prima del G8, e proprio a Genova, il 16 luglio, trasmette la sua prima diretta. «Non puntiamo a confezionare le news – riprende Massimo – ma a entrare in relazione con i soggetti che sono protagonisti di quello che gli succede, rendendoli capaci di informare essi stessi».
Radio Gap riprenderà le trasmissioni da Firenze, sede del Forum sociale europeo che si terrà a novembre. Per seguire questo appuntamento nascerà una collaborazione con altre emittenti europee: svizzere, austriache, olandesi e spagnole. «Cerchiamo di crescere – conclude Massimo – di aggiungere nuovi nodi alla rete. Rimettersi nel ghetto facendo semplicemente controinformazione è rischioso. Il punto è “dateci gli spazi”. Si parla tanto di informazione libera, di aprire la comunicazione. Noi apriamo i microfoni ai mille volti del movimento, voi aprite le pagine. Se no, di che stiamo parlando?».