FANZINES

(questo articolo di Vittore Baroni del 1992 è apparso in forma ridotta e rimaneggiata sui numeri 7-8 del mensile Rumore e col titolo Fanzirama 2000 é stato incluso nel catalogo di una mostra di fanzines)


Definizioni

La biografia di Charles Lutwidge Dodgson, meglio noto con lo pseudonimo di Lewis Carroll e come creatore del celebre Alice nel Paese delle Meraviglie, ci informa che fin da fanciullo lo scrittore era solito produrre rivistine in copia unica, completamente scritte e illustrate a mano, per il divertimento di fratelli e sorelle minori. Sono forse curiosità letterarie come The Rectory Umbrella o The Rectory Magazine del giovane Carroll i più lontani progenitori delle attuali pubblicazioni sotterranee? Difficile stabilirlo, dato che la pratica di una stampa "partigiana", marginale e clandestina, circolante fuori dai binari della cultura ufficiale o fortemente critica nei confronti del potere dominante, si è sviluppata con tutta probabilità fin dai tempi di Gutemberg. Il termine fanzine, contrazione di fans magazine, ovvero "rivista di/per appassionati", è entrato nell'uso corrente soltanto nella seconda metà degli anni '70, per designare una forma spontanea e iconoclasta di giornalismo musicale fai-da-te, sbocciato sull'onda del successo travolgente delle prime formazioni punk (Sex Pistols, Clash, Damned, eccetera) e al pari di queste irrispettoso nel linguaggio e nei contenuti, privo di qualsiasi inibizione. Oggi, viene spesso chiamata fanzine una qualsiasi pubblicazione autoprodotta, nata senza una motivazione di ordine prettamente commerciale, solitamente dalla periodicità irregolare e dalla vita e circolazione estremamente ridotta, anche se per correttezza filologica la definizione non andrebbe applicata indistintamente a tutta la small press periodica, bensì limitata a quelle riviste amatoriali concepite per categorie specifiche di "fans" (quali gli ascoltatori di un preciso genere musicale, i cultori del fumetto, della fantascienza, dei films horror, ecc.). Il neologismo è stato universalmente adottato probabilmente anche per meglio rimarcare la netta differenza di visione e contenuti, almeno nei primi tempi, fra l'ondata di pubblicazioni post-76 e l'ormai agonizzante underground press internazionale, sviluppatasi nel decennio precedente.

Prima delle fanzines

The Village Voice, un settimanale con aperture liberali prodotto nel Greenwich Village di New York, ha ospitato fin dal suo apparire verso la metà degli anni '50 le molteplici voci di dissenso dell'avanguardia artistica, della Nuova Sinistra e della cultura beatnik americana. Non meraviglia quindi che sia stato proprio un redattore del Voice, John Wilcock, curatore della seguitissima rubrica "The Village Square", a mettersi alla testa dopo aver lasciato il settimanale di alcuni dei più combattivi progetti editoriali del cosiddetto "underground". Alla Los Angeles Free Press, fondata nel 1964, spetta comunque il titolo di capostipite di un numero sterminato di pubblicazioni indipendenti che, nel volgere di pochi anni, dettero vita ad un vero e proprio "Quinto Potere" alternativo della carta stampata, con una fitta rete di piccole imprese comunitarie di controinformazione che abbracciava ogni angolo del mondo Occidentale (collegate in libere associazioni quali l'Underground Press Syndicate e il Liberation News Service), e che al fianco di istanze politiche radicali più convenzionali diffondevano le rivoluzionarie concezioni di vita della cultura hippie, sovvertendo consapevolmente allo stesso tempo tutte le buone norme della stampa tradizionale. Ortografia, linguaggio, impaginazione, formati, metodi di stampa e colorazione venivano stravolti da concezioni fantasiose di gusto "psichedelico", al punto da rendere perfino difficoltosa in alcuni casi la lettura, per l'avventurosa sovrapposizione di immagini e testo o l'uso di atipici colori pastello. L'establishment ha spesso reagito violentemente, con perquisizioni, censure e condanne, alla diffusione di questa small press priva di briglie, venduta per pochi centesimi agli angoli delle strade da militanti lungocrinuti. Le più note testate statunitensi si chiamano Other Scenes, San Francisco Oracle, Berkeley Barb, Old Mole, Open City, c'è poi l'inglese It e Oz, più volte sequestrata per oscenità e creata da Richard Neville fra Sydney e Londra, mentre in Italia all'esperimento isolato di Pianeta Fresco, curato da Ettore Sottsass e Fernanda Pivano, sono seguiti dopo qualche anno i libretti di controinformazione di Stampa Alternativa e i vari Fallo!, Re Nudo, Puzz, Tampax, ecc. Stampate a volte con primitivi ciclostile o in eliografia, con interventi manuali, su carta da pacchi o altri materiali "poveri", ma anche in off-set tipografico a più colori e con tirature che hanno superato in alcuni casi le 50.000 copie, le riviste underground dei '60 costituiscono un patrimonio letterario immenso, continuamente ripreso, riciclato e rimaneggiato (grazie anche alla pratica dell'abolizione del copyright) nei decenni successivi, sia in ragione dei personaggi carismatici frequentemente coinvolti (i vari Leary, Ginsberg, Burroughs, Snyder, Kupferberg, ecc.), che per la ricchezza ed eterogeneità degli argomenti trattati (liberazione dai tabù sessuali, cultura della droga, viaggi alternativi a poco prezzo, protesta anti-Vietnam, politica radicale e utopia, misticismo e religioni orientali, musica e arte pop). Dopo le brevi illusioni rivoluzionarie del '68 e le trasfusioni sulle pagine sotterranee, soprattutto in Europa, di idee Situazioniste, il fenomeno si smorza gradualmente nella prima metà dei '70, seguendo lo sfaldarsi del Movimento politico-giovanile internazionale. Oggi, piccole case editrici specializzate hanno perfino iniziato a produrre, per storici e nostalgici, costose ristampe anastatiche dei fogli underground più rappresentativi.

Londra in fiamme

La prima, la più influente e anche la più venduta delle fanzines è stata Sniffin' Glue, scritta, impaginata, stampata e distribuita artigianalmente a partire dall'estate del 1976 (grazie anche all'aiuto di Rough Trade e di altre strutture indipendenti) da un giovane disoccupato londinese, Mark Perry. A differenza della conformista stampa musicale ufficiale, dalle pagine della sua rivista Perry incensava o maltrattava senza peli sulla lingua i gruppi punk del momento, che aveva modo di seguire e studiare da vicino, promuovendo fra grezzi collages e montaggi neo-dadaisti efficaci slogan del tipo "eccovi tre accordi, ora formate un gruppo musicale", o incitando i lettori a fondare le loro fanzines (appello che in molti non si fecero ripetere due volte). Nel punk ogni scioccante "rivolta nello stile" si è bruciata e consumata con enorme rapidità, dopo poco più di un anno Perry fondava egli stesso un gruppo rock, gli Alternative TV, il cui singolo di esordio è allegato all'ultimo numero di Sniffin' Glue. Già verso la fine del 1977, la crescita esponenziale del numero di fanzines punk, solo in pochi casi mordaci e innovative come il modello originale (Jolt, These Things, Hangin' Around, Ripped & Torn), aveva prodotto una situazione di saturazione e omologazione del fenomeno, molto simile a quella che simultaneamente interessava i gruppi musicali, assorbiti dalle grandi case discografiche (saranno difatti i responsabili delle fanzines della prim'ora a scrivere e "vendere" all'establishment i primi instant books da cassetta sulla scena punk). Allo stesso tempo però, l'editoria marginale ha continuato a proliferare e frammentarsi in direzioni differenti, espandendosi dall'Inghilterra ad ogni altra nazione civilizzata, con titoli di indirizzo specificamente new wave, mod, ska, dedicati al circuito delle autoproduzioni su cassetta (Cassette Gazette, Fast Forward, Stick it in your ear) o a quello delle etichette musicali indipendenti (OP, Sound Choice), ultrapoliticizzate (come Temporary Hoarding, stampata dall'associazione "Rock against Racism", o Toxic Grafity, prodotta direttamente dal collettivo dei Crass), o con sguardi insoliti sul mondo della moda giovanile (i-D , oggi rivista ufficiale a tutti gli effetti), dell'arte (le tedesche The 80's e Shvantz!, riviste di mail art come Vile e ND), e via dicendo. Siamo però ormai ben addentro agli anni '80, e in epoca di diffuso "riflusso" ideologico la stampa amatoriale ha perso molte delle sue caratteristiche militanti, spesso non si distingue più nettamente nei contenuti dalla stampa overground, dalla ricerca o dalla negazione di valori esistenziali ha virato decisamente verso il gioco e l'effimero, ed ha anche spesso abbandonato la consuetudine del prezzo "politico". Le fanzines più interessanti dell'ultimo decennio sono caratterizzate infatti da una stampa di tipo più professionale, con soluzioni editoriali ricche e raffinate al posto delle fotocopie in bianco e nero spillate a mano, e con cassette, LP o CD allegati in luogo dei tipici flexidisc "pieghevoli" (ZG, Touch, Abstract, RRReport, Total). Solo in rari casi, significativo quello della californiana Re/Search (sorta dalle ceneri dell'influente punk-zine Search & Destroy, più o meno velatamente imitata da altri ottimi progetti qualiVague, Version 90, Vagabond, Sensoria from Censorium), alla cura della veste tipografica si sono abbinati contenuti trasgressivi e ideologici di segno forte (nella fattispecie, le morbose e inquietanti tematiche della cosiddetta "cultura industriale"). Quello che propongono da qualche tempo testate rappresentative come la londinese Encyclopaedia Psychedelica o la veterana Whole Earth Review (in circolazione da almeno vent'anni) è infine un'integrazione e sintesi delle tematiche controculturali comunitarie dei '60 e del fai-da-te individualista e anarchico di epoca punk: una "congiunzione degli opposti" e il superamento dei medesimi, in chiave cibernetica e in ottica di networking (ovvero di contatto diretto senza mediazioni, per sfuggire alla logica delle comunicazioni a senso unico dei Mass Media).

Dopo le fanzines

L'avvento del word processor e di sofisticati programmi di grafica e impaginazione ormai alla portata di tutti, ovvero l'inizio dell'era del desk-top publishing, con la possibilità di realizzare in casa sul proprio computer e stampante tutti quei passaggi necessari alla produzione di una rivista che un tempo richiedevano l'intervento di diverse maestranze specializzate (fotocomposizione dei testi, impaginazione, pellicole, prove di stampa, ecc.), ha ovviamente prodotto una piccola grande rivoluzione anche nel mondo dell'editoria indipendente. Oggi chiunque senta la necessità di dire la sua su un determinato argomento può inventarsi all'impronta una rivista a propria immagine, con tutti i crismi di una pseudo-ufficialità. Nelle nazioni dove i Personal Computer sono diffusi da maggior tempo, ad esempio USA e Canada, si sta moltiplicando a dismisura il numero di newsheets, bollettini e riviste elettroniche su BBS, prodotte perlopiù da una singola persona, spesso consistenti (al fine di ridurre i costi e massimizzare la diffusione) in opuscoli di pochissime pagine spediti su abbonamento, scambiati per corrispondenza o consultabili per via elettronica. Spulciando i menù telematici o le piccole inserzioni su riviste specializzate è possibile trovare i contatti per questo nuovo tipo di fanzines "mutanti", dedicate agli argomenti più disparati, di interesse generale o ultra-specialistico. Non è certo un caso se il nuovo editore di uno dei più noti progetti sotterranei degli ultimi anni, la fanzine statunitense Factsheet Five, ha deciso di far uscire solo sporadicamente la testata in forma "cartacea", data la difficoltà nel gestire la quantità sempre più elevata di dati (la rivista è infatti essenzialmente una guida alfabetica ragionata per ogni tipo di pubblicazione o materiale controculturale), trasformandola a tutti gli effetti in una rivista elettronica, aggiornata periodicamente e consultabile a distanza. Oggi ci troviamo quindi in una delicata fase di transizione, in cui la small press tende da un lato a compiere appena possibile il salto dai sotterranei alle edicole, dall'altro è in attesa di poter realizzare completamente la trasformazione da prodotto su carta in edizione limitata (dalla distribuzione sempre più macchinosa e frustrante) a notiziario elettronico a diffusione virtualmente illimitata, raggiungibile da ogni punto del pianeta tramite un modem e un codice di accesso. Tali problematiche di segno indubbiamente forte vengono già discusse da angolazioni differenti su nuove fanzines per "pirati telematici" quali HackTick e 2600-The Hackers Quarterly, oppure in pubblicazioni meno dense di termini tecnici per addetti ai lavori come bOING bOING e la patinata Mondo 2000 (battezzata "la Rolling Stone dell'era informatica", ben avviata con la sua aria di snobismo yuppie ad abbandonare i circuiti dell'underground), o ancora le italiane Ario e Decoder. Queste riviste sono contraddistinte dalla pulizia formale di una rigorosa impaginazione computerizzata, funzionale agli argomenti cibernetici affrontati quanto lo erano gli strappi grafici e i testi battuti grossolanamente a macchina nel periodo punk o le arzigogolate calligrafie neo-floreali negli anni '60. E' interessante notare, a riprova di una invisibile continuità fra certi settori della stampa di opposizione di ieri e di oggi, la sopravvivenza in versione desk-top di The Realist, rivistina prodotta fin dagli anni '60 da Paul Krassner, una delle voci più pungenti della controcultura californiana. Krassner si muove abitualmente all'interno dei media tradizionali, ma ha sempre avvertito anche il bisogno di esprimersi con un foglio impaginato personalmente, una sorta di scambio diretto di idee "dal produttore al consumatore". Se la stampa sotterranea può servire da un lato come palestra di allenamento per nuovi autori o come fase di rodaggio per un progetto editoriale, prima che questo raggiunga le edicole (vedi il caso recente della rivista americana di cinema "bizzarro" Film Threat), non bisogna infatti dimenticare come l'autoproduzione risponda anche a profonde necessità interiori di totale autonomia espressiva e a volontà di provocazione spesso sul filo dell'illegalità, tutte libertà che difficilmente la stampa "di regime" può accordare ai suoi collaboratori.

Sfide e mutamenti

La flessibilità e l'imprevedibilità sono fra le caratteristiche più invoglianti della stampa marginale, ma se da un lato i vantaggi del desk-top permettono a questa di darsi una veste hi-tech quale mai ha avuto in passato, anche in progetti a tiratura ridottissima, la grande editoria non rinuncia certo a sfruttare a sua volta le meraviglie delle nuove tecnologie. Grazie alle possibilità offerte dal computer applicato ai procedimenti di stampa tipografica, il settimanale Time è riuscito alcuni mesi fa a spedire a ciascuno dei suoi innumerevoli abbonati una copia con il nome del lettore scritto a caratteri cubitali in copertina. Un semplice scherzetto in confronto a ciò che ci aspetta in un non lontano futuro, ovvero la possibilità di scegliere secondo il nostro gusto personale, nel momento in cui ci abboniamo ad una testata, fra una vasta gamma di combinazioni e approfondimenti (ovvero potremo decidere di ricevere, ad esempio, una rivista con più pagine di sport, politica o musica). Newsweek ed alcuni altri periodici statunitensi hanno già iniziato a servirsi di questa possibilità di "rilegatura differenziata", al fine di offrire qualcosa di inedito che possa riconquistare le fasce sempre più ampie di pubblico disaffezionato alla lettura. E' insomma quantomai interessante notare una bizzarra inversione di tendenza, mentre comincia a delinearsi il volto dell'editoria del ventunesimo secolo: ad una small press sempre più agguerritamente professionale si contrappone una grande editoria che aspira ad offrire un servizio sempre più personalizzato, ovvero che mira a recuperare quell'interscambio diretto con il lettore fino ad ora prerogativa fondamentale della stampa sotterranea (nelle riviste elettroniche, l'interattività si applica quasi indistintamente a progetti di tipo alternativo e no). E' su questo terreno altamente tecnologicizzato che si giocherà la battaglia decisiva fra colossi dell'informazione e outsiders indipendenti, certi comunque che, fintanto che si avvertirà l'esigenza di un'informazione del tutto libera e priva di censure, appassionata e disinteressata paladina di nuovi valori, ci sarà sempre un nuovo John Wilcock, un Richard Neville, un Mark Perry o un Tom Vague che si ingegnerà rocambolescamente per fornircela.

Bibliografia minima

Lewis Carroll The Unknown Lewis Carroll (Dover, New York, 1961)

AA. VV. a cura di Jerry Hopkins Le voci degli Hippies (Laterza, Bari, 1969)

Jeff Nuttall Bomb Culture (Paladin, Londra, 1970)

AA. VV. a cura di Fernanda Pivano L'altra America negli anni sessanta (Officina Edizioni, Roma, 1971)

Richard Neville Play Power (Milano Libri, Milano, 1971)

Walter Hollstein Underground - sociologia della contestazione giovanile (Sansoni, Firenze, 1971)

Mario Maffi La cultura underground (Laterza, Bari, 1972)

AA. VV. a cura di Pinni Galante Dalle alpi alle piramidi (Arcana, Milano, 1975)

Ferdinanda Pivano C'era una volta un beat (Arcana, Milano, 1976)

Luis Racionero Filosofie dell'underground (Savelli, Roma, 1978)

Julie Burchill-Tony Parsons "The Boy Looked at Johnny". (Pluto Press, Londra, 1978)

AA. VV. a cura di Pasquale Alferj e Giacomo Mazzone I Fiori di Gutemberg (Arcana, Milano, 1979)

A. Noah Underground Press (Embryo, Amsterdam, 1980)

AA. VV. a cura di Bruno Richard e altri Graphic Production (Autrement, Parigi, 1983)

Vernon Joynson The Acid Trip (Babylon Books, Todmorden, 1984)

AA. VV. a cura di Matteo Guarnaccia 1968-1988 Arte Psichedelica e Controcultura in Italia (Stampa Alternativa, Roma, 1988)

Greil Marcus Lipstick Traces (Secker & Warburg, Londra, 1989)

AA. VV. a cura di Tommaso Tozzi Opposizioni '80 (Amen Prod., Milano, 1991)