TAPE NETWORK

(da Vittore Baroni, Arte Postale - Guida al network della corrispondenza creativa, AAA Editrice 1997)

Un musicista che produce cassette duplicate in casa non avrà forse la possibilità di diventare ricco e famoso, ma può ugualmente entrar a far parte di una informale rete internazionale di persone che si scambiano lavori ed esperienze, creando da soli o in collaborazioni a distanza opere spesso incredibilmente inusuali (comunque cancellabili e riciclabili!). Il cosiddetto tape network è un vasto campo di intervento che spesso deborda dai confini sotterranei, mailartistici e no, da cui prende le mosse. Quando, attorno alla metà dei ’70, è esploso partendo dall’Inghilterra il fenomeno delle etichette discografiche indipendenti, hanno preso vigore anche innumerevoli piccole imprese le cui produzioni su nastro, recensite da rivistine specializzate come la belga Cassette Gazette e fatte circolare perlopiù via posta, hanno finito in modo del tutto naturale con l’incrociare esperienze di mail art (VEC, Trax, ND, ecc.). Nel mondo delle cassette autoprodotte, esaminato al meglio nell’antologia di saggi e interviste Cassette Mythos (Autonomedia, New York 1992) a cura di Robin James, l’immaginazione è del resto il limite non solo per i suoni da produrre ma anche per l’involucro che li contiene: autori ed etichette si sono sbizzarriti nel creare le confezioni più strane e improbabili, con lo stesso estro lunatico che caratterizza tante pubblicazioni postali.

Le cassette (più raramente i dischi) che circolano in rete sono solo raramente strutturate seguendo tradizionali generi musicali: si va da semplici lettere “parlate” in copia unica ad esperimenti di audio arte, poesie lineari e fonetiche, canzoncine conviviali o componimenti seriosi su temi postali (ricordo l’Art Strike Mantra di Crackerjack Kid, che fonde in un’unico coro voci di decine di networkers) e ovviamente cataloghi di rassegne (come la cassetta con covers di Dylan per l’International Bob Dylan Mail Art Exhibition curata da Alex Igloo e disloKate Klammer nell’83). Mark Bloch, Eric Finlay, Klaus Groh, Minoy, Mogens Otto Nielsen, Barry Pilcher, David Zack, si sono tutti più volte cimentati in opere sonore, ma è il canadese Gerald Jupitter-Larsen il personaggio che più a lungo ha spartito interessi per ricerche sonore e postali: per un programma radio ha trasmesso tutta la notte “audiosculture” inviate da networkers e organizzato happenings di phone art, col suo gruppo fantasma The Haters ha stimolato performances a domicilio (vinili senza solchi da incidere con oggetti appuntiti prima di ascoltarli, ecc.), producendo una lunga serie di dischi e CD che spingono il concetto di audio arte verso nuove frontiere di minimalismo rumorista. Lo stesso dicasi per Masami Akita alias Merzbow, oggi uno dei più prolifici esponenti della non-musica “noise” giapponese, partito negli ’80 producendo cassette e rivistine di collages erotico-apocalittici per il network.

Tre altri progetti degni di nota sono stati portati casualmente a compimento nello stesso anno, il 1983: il polacco Henryk Gajewski ha presentato in performance e documentato su cassetta la raccolta Audio Child, piccoli brani adatti ad essere ascoltati da un pubblico infantile richiesti a vari autori internazionali; Nicola Frangione ha completato a Monza il primo LP di Mail Music, realizzato sfumando uno sull’altro, secondo l’ordine postale di arrivo, frammenti di contributi che spaziano dalla poesia sonora alla musica elettronico-concreta a registrazioni audio verité; infine, resta tuttora il più ampio progetto sonoro scaturito dalla rete postale la mostra-installazione collettiva Audio organizzata al prestigioso Moderna Museet di Stoccolma da Peter R. Meyer, curatore di programmi per la radio e TV svedese che ha in seguito più volte professionalmente utilizzato i contatti della mail art, mettendola anche in pratica (mi ha inviato ad esempio un disco fuso, ridotto ad una colata informe di vinile, con un biglietto che dice “questa era sound art, ora è soltanto arte”).