DIFFUSIONE EDITORIALE

 

Le origini della comunicazione controculturale su stampa risalgono a tempi molto remoti, addirittura Nico Ordway citava come precursori in un suo saggio (in Zines!  vol.1, V-Search, San Francisco 1996) i Vangeli apocrifi e i libelli di sette religiose medioevali, o anche le riviste delle avanguardie storiche, dadaisti e futuristi, che diffondevano idee in totale contrapposizione con quelle dell’arte ufficiale del tempo.

Il fenomeno che più immediatamente si identificava col termine “controcultura” era però quello della underground press degli anni ’60, germogliata dai semi gettati nel decennio precedente dalle riviste che avevano accompagnato la nascita della letteratura Beat: una forma di stampa indipendente e battagliera, in aperta opposizione con l’establishment politico e l’ideologia dominante del tempo, che aveva saputo conquistarsi una diffusione planetaria, cementando fra loro i diversi interessi della cultura psichedelica delle tribù hippie (protesta antimilitarista, misticismo orientale, musica rock, grafica e fumetto, liberalizzazione di marijuana, esperimenti con LSD, ecc.).

Era questo il periodo in cui gli attivisti politici e culturali cercavano di creare i propri giornali underground; dalla gente era presa molto a cuore una massima “maligna” di A.J. Liebling, che citava: “Freedom of the press is guaranteed only to those who own one” [New Yorker, May 14, 1960, p. 105-12].

Non esistevano ancora molti sistemi di stampa “casalinghi” ed economici.

Il ciclostile a manovella veniva utilizzato, oltre che per i diffusissimi volantini politici, anche da alcuni giovani poeti per creare micro-edizioni (spesso censurabili nel linguaggio, quindi difficilmente proponibili a case editrici overground, come ad esempio i poemi di Tuli Kupferberg, futuro membro dei Fugs). Il ciclostile aveva però limiti estetici e pratici molto evidenti. Le più rappresentative riviste dell’underground press venivano quindi stampate con normale procedimento tipografico, il che presupponeva tirature piuttosto elevate e un notevole sforzo finanziario.

Nel corso del ventesimo secolo si assisteva però alla nascita della terza grande scoperta nell’ambito della stampa: la stampa in offset (la quarta — Internet — dava la possibilità di effettuare scambi ancora più efficienti riducendo anche il rischio di cambiamenti dati dalla comunicazione orale): questa nuova tecnologia offriva un modo rapido e poco costoso di riprodurre fotograficamente i documenti scritti. Chiunque possedeva una macchina da scrivere e un po’ di immaginazione poteva pubblicare un giornale, senza bisogno di disporre di grossi capitali. Allo stesso tempo la tecnica della fotografia permetteva innovazioni di design prima non possibili.

Per far sì che si potessero distinguere a prima vista le testate sotterranee da quelle ordinarie, si ricorreva ad espedienti creativi, spingendo ai limiti le possibilità tecniche offerte dalle rotative e dai colori in commercio, sperimentando nuove tecniche come la sovrapposizione di testi e immagini, l’uso di cromatismi nuovi e sorprendenti (ma perfettamente adeguati ai contenuti “psichedelici”), impaginazioni libere e imprevedibili, arrivando addirittura a compromettere una chiara lettura del testo (ottimo esempio è il popolare San Francisco Oracle, giunto a tirare decine di migliaia di copie).

I testi non erano formattati e quasi mai “giustificati”, ma erano posti a cornice delle immagini, oppure formati da dei collage. I colori potevano “sbavare” gli uni sugli altri, utilizzando la tecnica di stampa “split fountain”, che creava inusuali effetti di colore. Tutte queste strane tecniche grafiche (accompagnate da contenuti spesso crudi e deliberatamente provocatori) erano atte ad attirare il più possibile l’attenzione dei lettori e, in molti casi, a “scioccare”. Queste tecniche di stampa creavano una visibile espressione di rivoluzione culturale in America, in un periodo turbolento e confuso.

Con qualche anno di ritardo rispetto agli Stati Uniti, la stampa sotterranea era approdata anche in Italia, con le pubblicazioni di Stampa Alternativa, una piccola casa editrice romana diretta da Marcello Baraghini, ancora oggi viva e vegeta, e numerose altre riviste più o meno effimere, fra cui le più note furono all’epoca Fallo! (con i fumetti di Matteo Guarnaccia, che ha curato nel 1988 proprio per Stampa Alternativa il volume storico-retrospettivo 1968-1988 Arte psichedelia e controcultura in Italia), Re Nudo, Get Ready, Om, Puzz, Tampax, Pianeta Fresco.

L’intera storia della comunicazione controculturale era legata a filo doppio a quella dell’evoluzione dei sistemi di stampa e, soprattutto negli ultimi due decenni, delle diverse tecnologie multimediali impiegate nella diffusione delle notizie. Al problema fondamentale della distribuzione, si cercò di ovviare nei ’60 creando delle vere e proprie strutture alternative, costruendo una capillare rete distributiva “di movimento” (strillonaggio nelle strade, presenza a concerti, scuole, università e manifestazioni politiche, vendita in “head shops”, negozi di dischi, librerie, ecc.).  La distribuzione del Los Angeles Free Press ne è un esempio.

 

 

 
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