GENERAL QUESTIONS

 

1. Quando e come si e' sviluppato l'esperienza dei laboraotri hacker in Italia (avvenimenti essenziali, spirito di riferimento, soggettività che hanno dato il corpo all'esperienza) E' importante innanzitutto fare una serie di distinguo, al fine di non confondere esperienze e piani diversi. Un conto e' l'esperienza degli hacklab, un altro le varie esperienze di hacking già in sotto da un paio di decenni anche in Italia. D'ora in poi chiariamo i termini: per esperienza dei laboratori hacker intenderemo l'esperienza degli hacklab. Gli hacklab sono nati sostanzialmente dall'esperienza degli hackmeeting; nel 1998 una serie di soggetti già presenti nell'ambito della telematica underground, pionieri dell'utilizzo antagonista delle nuove tecnologie di comunicazione decidono di organizzare un incontro nazionale di tutti coloro che condividono una certa visione del mondo, l'attitudine a comprendere come funzionano le cose e a appropriarsi dei mezzi per modificare i meccanismi intrinseci di tutta la realtà, l'attitudine hacker. L'incontro si dimostra un successo e si decide di replicarlo l'anno dopo a Milano. In tanto la scena cresce e la voglia di dare continuità all'incontro di soggettività molteplici in grado di usare in maniera diversa le nuove tecnologie aumenta. Anche l'hackmeeting 99 e' un grande successo e all'interno di quel meeting inizia a germogliare l'idea di strutture che raccolgano queste sensibilità e creino un nuovo ambito in cui politica e tecnica si potessero incontrare, in cui hacking delle tecnologie informatiche e hacking della realtà convergessero su obiettivi comuni. Le esperienze precedenti di riferimento sono i collettivi legati alla telematica di base e ai primi esperimenti di antagonismo legato alle nuove tecnologie (collettivi ECN, strano network, tactical media crew) e quello che può essere considerato il primo hacklab italiano (anche se loro amano fare distinguo): il freaknet medialab di Catania. I primi hacklab sono quello di Firenze e quello di Milano, che rimangono a tutt'oggi i più attivi, anche se realtà analoghe iniziano a fiorire un pò in tutta Italia (Savona, Verona, Torino, Genova, Venezia, asti, esperienze simili a Napoli). Lo spirito di riferimento e' la volontà di comprendere i meccanismi di funzionamento di un dato oggetto (materiale, tecnologico, sociale e mentale che esso sia) al fine di poterli volgere a proprio vantaggio, la volontà di condivisione delle risorse e dei saperi, una consapevolezza del portato politico di queste attitudini. Sicuramente un ruolo determinante nella nascita degli hacklab lo hanno avuto quei soggetti protagonisti della nascita degli hackmeeting in Italia, come l'esistenza di strutture organizzate di progettualità politica come i centri sociali e simili. Le comunità più forti sono quelle di Firenze, Milano e Roma anche se e' in queste due città che la spinta e' più forte per far nascere gli hacklab.
2. Che contatti o sinergie esistono con altre esperienze estere? Diverse e complesse. Nel senso che ogni realtà ha capitalizzato contatti all'esterno delle realtà che le hanno precedute sul territorio, arricchendole con le proprie. Al primo hackmeeting intervengono gli hacker del network Xs4all, mentre a Milano ospitiamo Wau Holland del CHaos Computer Club tedesco. Quest'anno siamo andati in Francia, a Parigi, a seguire la Zelig COnf e anche lì abbiamo ritrovato compagni con cui avevamo già lavorato e intessuto nuove relazioni. Sicuramente le sinergie più strette la scena italiana le ha con la scena spagnola, che ha dato vita quest'anno al primo hackmeeting spagnolo e al primo hacklab entrambi a Barcellona. I compagni spagnoli di sindominio e nodo50 ci hanno seguito dal primo hackmeeting e lo scambio di idee ed esperienze e' sempre stato con loro molto fitto, pur essendo la realtà spagnola in termini telematici parecchio più arretrata di quella italiana. C'e' da dire che probabilmente l'esperienze italiane costituiscono un avanguardia di sperimentazione politica come già e' stato per l'esperienze auto organizzate forse l'unica esperienza simile, ma solo in parte, e' quella proprio del chaos computer club anche se la loro azione ha una radice storicamente diversa nell'approccio politico, tipicamente teutonica e pragmatica. In generale penso che gli hacklab costituiscano un elemento nuovo nel panorama internazionale, anche se esperienze simili nel passato non sono mancate e non hanno mancato di dare ottimi frutti (il circuito ecn e quello del CCC sono un ottimo esempio)
3. 3)Che ruolo ha il binomio Hackeraggio/realta auto gestite? In teoria non e' un binomio necessario, ma in pratica e' un binomio che si e' realizzato quasi sempre Di fatto le realtà degli hackmeeting sono nate in seno alle realtà auto gestite e auto organizzate e quindi è stato naturale per i primi hacklab trovare sede in questi stessi luoghi, sia per motivi di continuità con le proprie origini, che per le dinamiche di relazione e di organizzazione interne Quindi penso che l'impronta delle realtà auto organizzate sugli hacklab sia forte, ma penso che viceversa i luoghi che ospitano degli hacklab sono stati e sono costretti a confrontarsi con un soggetto strano e atipico. Il punto credo che sia il concetto di hacking Se con hacking intendiamo la tendenza a cercare di comprendere i meccanismi di una situazione complessa, a padroneggiarli e a usarli al meglio per produrre qualcosa di nuovo e maggiormente in sintonia con ideali di libertà e liberazione, di trasformazione dello status quo, allora e' abbastanza evidente che hacking e realtà dell'autogestione dovrebbero andare d'amore e d'accordo. Le realtà auto gestite in teoria dovrebbero essere delle sorte di hacklab sociali e politici, la loro funzione storica in teoria dovrebbe essere quello di smontare e interagire con il reale per migliorarlo. In realtà penso che le realtà auto gestite soffrano perennemente di una tendenza a staticizzarsi e a perdere dinamismo nell'analisi e nell'azione sul reale, e a divergere da questa teoria in varia misura In questo senso leggo con favore il nascere di nuove esperienza più vicine al zeitgeist di questo nuovo millennio e che forse riusciranno a svolgere meglio il proprio ruolo di trasformazione dello stato di cose presenti.
4. L'alfabetizzazione informatica dell'ultimo decennio (diffusione uso PC, interfacce grafiche user oriented, standarizzazione sistemi operativi, rete) ha rappresentato uno stimolo all'approccio hacker? No Il grosso problema non e' tanto l'alfabetizzazione, ma il tipo di alfabetizzazione. Sicuramente tutti gli elementi che avete citato hanno favorito un maggiore uso del computer e una permeazione delle nuove forme di comunicazione (in teoria meno mediate) nella vita quotidiana di tutti i giorni. Ma non penso che abbiano stimolato un approccio hacker alla tecnologia, o alla realtà più in generale. In realtà questa operazione di infiltrazione di digitale nel quotidiano e' stata tutta tesa all'instupidimento. Come in molti altri ambiti il libero approccio e la libera sperimentazione sono guardati con diffidenza da chi agisce sui processi di massificazione dei media e delle tecnologie, e quindi c'e' stata una volontà precisa di esoterizzare la tecnologia a favore di comode interfacce. Penso al contrario che ci sia stato uno sforzo cosciente da parte delle grandi lobby di potere a livello planetario nel favorire l'instupidimento di chi usufruisce quotidianamente della tecnologia e di chi potrebbe cercare qualcosa attraverso la tecnologia anziché sfruttarla strumentalmente ad alcune necessità. L'etica hacker si basa sulla liberazione e sulla ricerca dei meccanismi con cui le cose funzionano; la permeazione del digitale si e' basato sull'offuscamento di questi meccanismi. Forse sul lungo periodo questo processo si invertirà, perché la quotidianità familiarizza, e la maggiore familiarità con qualcosa, la maggiore confidenza porta alla sperimentazione priva del timore dello sconosciuto. Il dubbio e' che questa ricerca priva dell'elemento del mistero potrebbe rivelarsi ancora più deleteria. Un conto e' tentare di capire come funziona il proprio frigo, un altro conto e tappare un buco nelle serpentine al freon on un dito. Per ora il processo di diffusione dell'etica e dell'approccio hacker e' stato inversamente proporzionale alla diffusione delle nuove tecnologie.
5. La cultura di base prodotta nei laboratori hacker rappresenta una via autonoma per penetrare la scatola nera dell'informatica? Penso di sì Anche se c'e' molto lavoro da fare L'abitudine all'esoterismo, tipica della cultura ipertech, rende difficile revertire il processo e portare chi partecipa alle esperienze degli hacklab ad una attitudine essoterica, comunicativa Sicuramente gli hacklab hanno il grosso vantaggio di portare alla luce del sole un diverso modo di interpretare le nuove tecnologie e la comunicazione elettronica, di porsi come punti di contatto tra una cultura sotterranea molto ricca e il resto del mondo. Da un lato corsi e seminari servono esattamente a comunicare e condividere saperi e conoscenze, dall'altro costituiscono un importante momento di relazione in cui l'approccio hacker può essere comunicato e condiviso. Forse l'elemento più importante dell'attività pubblica degli hacklab e' proprio questo, benché normalmente sia l'aspetto didattico quello che colpisce di più e che riesce a fare breccia maggiormente nel muro dai media e dell'opinione pubblica.
GNUECONOMY
1. Quali sono ancora oggi i limiti "materiali" per l'accesso generalizzato alla cultura informatica e ad una sua riappropriazione? In realtà il limiti sono più politici che materiali. Nonostante le tecnologie siano ormai oggetti di consumo massificato e nonostante siano ormai concrete le possibilità per tutti di avere un approccio libero alle conoscenze informatiche, assistiamo spesso ad un rifiuto di conoscere. Penso che vada fatto un grosso investimento culturale, nel diffondere capillarmente un approccio diverso alle tecnologie. La diffusione dell'informatica e del digitale nella quotidianità e' un campo di battaglia molto articolato e complesso, ma penso che sia possibile trasformarlo in una risorsa per cambiare l'approccio delle persone a tutto ciò che le circonda Riuscire ad investire sull'approccio sperimentale verso il reale e' un passaggio fondamentale per rivoluzionare quella cultura della passività e della non-azione che purtroppo affligge grandi settori della società dopo decenni di istigazione da parte delle strutture di comunicazione di massa e dagli organi di costruzione culturale.
2. L'OpenSource, il Free Software rappresentano delle interessanti sperimentazioni di sviluppo e diffusione del sapere, qual'e' lo stato dell'arte dal vostro punto di vista? In primo luogo e' importante distinguer OpenSource e FreeSoftware. Non mi piace scatenare guerre di religione, ma le due cose seppur simili si fondano su presupposti molto diversi, e hanno avuto (ormai sembra abbastanza definitiva la lettura della situazione) destini diversi. Mentre il Free Software si fonda soprattutto sul concetto di libertà del softwaree delle persone , sfruttando il copyright contro il copyright stesso in una splendida sovversione del concetto attuale di diritto di copia, l'open source è un progetto nato che si concentra sulla sola disponibilità dei codici sorgenti e che ha investito molte energie nel tentare di coinvolgere le aziende, sperando così dare più diffusione anche al free software. La comunità non ha risposto molto bene all'open source, mentre il free software continua a prosperare, e questo fa ben sperare nell'intelletto collettivo ;)) Secondo me il free software rappresenta in effetti una grande sperimentazione, uno dei pochi ambiti in cui hackando le regole si e' riusciti a trasformarle a proprio vantaggio, a usare ciò che era stato utile solo a difendere il privilegio di pochi e la chiusura dell'informazione in recinti ben definiti per liberare i saperi e rendere impossibile la costruzione di nuove recinzioni intorno ad essi. Un elemento molto importante del free software e' che non basa la sua strategia vincente sullo scambio monetario o finanziario, ma che investe sul senso di comunità e sulle relazioni, un orizzonte molto vasto in cui c'e' spazio per cose molto differenziate e che da finalmente l'impressione di non essere sussumibile dai meccanismi del mercato, o meglio di essere compatibile, ma non sussumibile, e quindi di lasciare spazio anche per altro, un altro che si spera diventi sempre più imponente ;)
SAPERI
1. L'utilizzo creativo (quindi non di routine e precodificato) e libero del mezzo informatico e relegato ad alcuni ambiti specifici (esempio grafica,editoria on-line) o esistono esperienze che allargano sempre lo spettro degli usi-consumi autonomi del mezzo? Come ci piace spesso ripetere i problemi tecnici non esistono e il limite nell'uso del mezzo informatico e' la fantasia Uno degli aspetti più interessanti degli hacklab e delle crew di hacker in giro per il mondo sia proprio questa abilità nel definire nuovi usi del mezzo informatico in diversi ambiti. Da questo punto di vista l'esperienza degli hacklab e' molto più cruciale secondo me di quella delle crew, perché la vita collettiva a stretto contatto con le esigenze di strutture complesse come gli spazi auto organizzati facilita la creazione di nuovi ambiti di applicazione del digitale La necessità aguzza l'ingegno in sostanza.
2. La rete incarna in generale un'idea orizzontale di comunicazione, l'open source estende l'idea di comunicazione alla sviluppo cooperativo di un sapere, il PC ha individualizzato il rapporto tra mezzo tecnologico aprendo spazi di autonomia, l'informatica in generale ha saputo mantenere vivo uno spirito "libertario" al cospetto delle forme di monopolizzazione e occultamento del sapere tecnologico. Avete mai riflettuto se questi concetti possano essere esportati ad altri domini high-tech, come ad esempio le biotecnologie? Sono biologo ci penso spesso soprattutto seguendo le discussioni sulla brevettabilità del software che hanno animato l'ambiente dei diritti digitali quest'anno con le minacce dell'EPO e delle lobby filoamericane Il grande problema in questo ambito sono i costi di ricerca e sviluppo. In ambito informatico il tentativo del capitale di rendere l'informatica un bene di consumo popolare e massificato ha innescato un processo di abbassamento dei costi di appropriazione dei mezzi di produzione immateriale mostruosi, mentre in ambito biotecnologico esiste una precisa volontà di esoterizzazione del sapere e di mantenimento di un elite in grado di gestire i processi di base delle biotecnologie E' anche vero che lo stadio attuale delle biotecnologie non consente di individuare facili bisogni domestici su cui costruire un consumo di massa. Probabilmente ci sarebbe bisogno di figure innovative come e' successo per l'informatica, che sappiano restituire un orizzonte di libertà anche alle biotecnologie. Per ora il problema rimane strettamente sovra strutturale: nel senso che il problema non e' tanto cosa viene fatto con le biotecnologie, ma quali sono i soggetti che determinano l'avanzamento e lo sviluppo delle biotecnologie stesse. Una probabile chiave sarà la necessità per le biotecnologie di interfacciarsi con le tecnologie informatiche molto strettamente. A quel punto una macchina e' una macchina, ed è sempre possibile capirne il funzionamento e decostruirlo per restituirlo pubblicamente. La possibilità di esportare un attitudine ad ambiti anche lontani da quello in cui e nata e si e' formata esiste sempre; ad un certo livello diventa un problema di disponibilità di risorse In questo momento le risorse per accedere alle biotecnologie sono troppo alte per consentire allo spirito comunitario di poterci intevenire significativamente. Bisognerebbe riuscire a generare una breccia nell'accademia scientifica per iniziare a liberare alcuni saperi e alcune tecnologie, ma e' un processo ancora lungo.
3. Due parole sul nocopyright, e' una battaglia ideale? E' una realtà gia in divenire? Rappresenta lo Spirito del nuovo tempo comunicativo? E' un realtà già in divenire. Di fatto i nuovi mezzi di comunicazione elettronica hanno inciso pesantemente sul senso di comunità e sulle modalità di relazione. L'appropriazione di massa dei mezzi di produzione immateriale e degli strumenti di distribuzione immateriale ha segnato una svolta che sarà difficile arginare. Uno degli argomenti chiave che tutto la rete degli hacklab e degli hacktivisti italiani sta sostenendo e' che ormai il processo di liberazione dell'informazione e' un dato di fatto. I tentativi di limitarla sono dei deboli argini che remano contro il zeitgeist di questo tempo. Attenzione però, il fronte della battaglia si sta già spostando più avanti, perché anche in questo ambito valgono quei passaggi individuati in ambito di politica *alta* come la transizione alla biopolitica. Quando il limite non basta più ad arginare il libero scambio e la circolazione (siano essi di idee, di persone o di saperi), il passaggio del sistema e' quello del controllo, della libertà vigilata. Questo secondo me rappresenterà il nuovo orizzonte su cui spostare il conflitto e la produzione di senso politico.