Lo spettatore referenziale

 

Esiste dall'altra parte del nostro schermo televisivo un vero e proprio mondo dell'aldilà a cui noi inermi spettatori assistiamo dal sempre meno reale mondo dell'aldiqua.

L'aldiqua è popolato da una massa informe di consumatori cronici di poltiglie televisive. Secondo recenti studi da parte di T. Liebes e E. Kats (The export of meaning, 1991), è possibile dividere i telespettatori in due categorie fondamentali: lo spettatore referenziale e quello critico:

Lo spettatore referenziale è spesso un insicuro che trova risposte ai propri problemi attraverso un'esposizione prolungata davanti la TV che diventa evasione dalla realtà che lo opprime. A sostegno di questa tesi nel 1955  Eleanor Macoby mostrò come i bambini che avevano un rapporto difficile con i genitori guardassero la televisione più degli altri. Nel 1959 Leonard Pearlin trovò una forte correlazione tra livello d'ansia e predilizione per i programmi che aiutano a dimenticare i problemi personali.

La televisione dunque assolverebbe a una duplice funzione:

I dati sono stati interpretati in maniera diversa: c'è chi li giudica in chiave pessimistica, notando come la consolazione procurata dalla TV non risolva poi concretamente i problemi della vita reale; c'è viceversa chi è ottimista a considerare terapeutico queste fughe dalla realtà, se non altro sono fughe redditizie per qualcun altro (gli sponsor ecc. ecc.)...

Del resto le fughe dal quotidiano non sono un fenomeno nuovo per l'uomo:

"La maggior parte degli uomini e delle donne conduce una vita, nella peggiore delle ipotesi così penosa, nella migliore così monotona, povera e limitata, che il desiderio di evadere, la smania di trascendere se stessi, sia pure per qualche momento, è, ed è stato sempre, uno dei principali bisogni dell'anima. L'Arte e la Religione, i carnevali e i saturnali, la danza e l'oratoria, sono serviti tutti, come disse H.G. Wells, da Brecce nel Muro."

(Aldous Huxley, Le porte della percezione

E' lecito pensare che nella nostra civiltà occidentale, ad una fede per dei valori spirituali come la religione, se ne sia sostituita una fondata su  valori materiali e consumistici (qualcuno l'ha chiamata maledizione del benessere). E se non fosse vero, come dice Huxley, che la smania di trascendere se stessi è stato sempre uno dei principali bisogni dell'anima, come spiegare il male di vivere che dilaga nei paesi cosiddetti progrediti? La depressione di massa non trova altre vie di fuga (se escludiamo il consumo di sostanze di alterazione della coscienza: stupefacenti, psicofarmaci ecc.) che in una sorta di autorità morale (auto-)affermata come la televisione. A sentire i pareri più pessimisti, ci troveremmo di fronte ad un grande abbaglio di massa: la ricerca di un rifugio dallo svuotamento di valori dei nostri tempi ci spinge nella tana del lupo televisivo che altro non fa che alimentare i nostri desideri di consumatori e svuotarci sempre più di valori significativi.

 

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