home

Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete

 

di A. Di Corinto e T.Tozzi

 

indice

2.1.1.Partecipazione e Cooperazione

 

Interattività e diritto alla comunicazione

Negli anni Sessanta la cultura della partecipazione politica e civile favorisce il successo di un modello di comunicazione interattiva e il rifiuto del modello d’informazione unidirezionale. La critica dei media, gli eventi politici e le sperimentazioni artistiche favoriscono un clima culturale grazie a cui nei primi anni Settanta il video sarà usato dai movimenti come mezzo per autogestire gli strumenti della comunicazione e renderne le persone protagoniste attive.

Gli anni Sessanta sono il periodo in cui si sviluppano parallelamente e si incrociano le sperimentazioni comunitarie delle utopie californiane, i movimenti in difesa della libertà di parola, i progetti per rendere i computer strumenti multiaccesso ed interattivi, così come la nascita delle prime reti telematiche.

La libertà dell’individuo si riconosce nella possibilità di cooperare, comunicare, partecipare, scambiare esperienze, così come nel rifiuto dell’immaginario diffuso dai mass-media.

Il concetto di «computer personale» come strumento di liberazione a disposizione dell’individuo, che ritroviamo come parola d’ordine in diverse pubblicazioni all’inizio degli anni Settanta, è ribadito nell’idea di comunità virtuale come luogo in cui l’individuo può esprimersi direttamente e non essere solo un punto terminale della comunicazione come avveniva per il «personal libro» dopo Gutenberg. Quello che gli intellettuali, gli attivisti e gli scienziati capiscono è che il computer, da strumento di calcolo, può diventare un nuovo medium della comunicazione. Uno strumento intorno a cui costruire un nuovo modello di società in cui i soggetti siano attivi, non subiscano l’informazione dei mass-media, ma la veicolino in prima persona. In questo modello ogni individuo, situazione territoriale, collettivo, centro sociale, centro culturale, ecc., diventa il nodo di una rete cooperativa di comunicazioni non gerarchiche.

Da una parte vi è l’idea che i computer debbano uscire dalle cattedrali dei laboratori di informatica per andare «incontro alla gente» fornendogli l’opportunità di «metterci le mani sopra». Dall’altra c’è la convinzione che l’esercizio della comunicazione orizzontale ed interattiva, realizzata con tutti gli strumenti che le nuove tecnologie mettono a disposizione, sia un elemento essenziale per le libertà fondamentali degli individui e in quanto tale debba essere sostenuto in ogni circostanza.

Fin dalla sua nascita la telematica viene dunque riconosciuta da una parte come mezzo a disposizione dell’agire politico, dall’altra come nuova modalità rizomatica del comunicare e nuova frontiera dell’agire umano. Fin dai primi anni il modello di rete telematica è un modello «aperto» con aree-messaggi in cui chiunque può sia leggere che scrivere.

Gli strumenti tecnologici, se controllati dal basso, sono strumenti di cambiamento sociale. Quindi bisogna assicurare a tutti, ovunque siano, il libero uso dei computer. Tutti devono poter inserire le proprie informazioni in rete. Tutti devono poter avere il diritto a comunicare. Il modello della comunicazione da uno a molti, tipico di una società fondata sull’uso di mezzi di comunicazione di massa di tipo broadcast, deve essere sostituito da un modello di comunicazione interattiva da molti a molti, in cui gli spettatori siano anche attori in prima persona, così come avviene nei modelli comunitari.

È in base a questi presupposti che nascono le prime comunità virtuali all’inizio degli anni Settanta.

 

L’individuo come parte di un organismo superiore che è l’umanità nel suo complesso

La cooperazione e l’organizzazione comunitaria è stata ed è un’attitudine trasversale agli ambienti più disparati.

Sebbene il principio della cooperazione sia una caratteristica specifica dei movimenti, ne possiamo trovare esempi anche in molti altri ambiti, tra i quali ad esempio quello della scienza e dell’arte.

Un’idea base è quella per cui «il potere del collettivo è superiore alla somma delle parti». Ma da qui l’idea si è evoluta nel tentativo di analizzare le organizzazioni come organismi che seguono comportamenti che emergono spontaneamente dal caos della loro complessità.

Gli stessi studi sulle reti si sono sviluppati anche traendo spunto da ricerche sugli organismi biologici e sui processi simbiotici al loro interno 2.

Senza voler approfondire oltre questo argomento, quello che ci riguarda è il lavoro svolto da varie persone e gruppi in forme cooperative, con finalità rivolte al miglioramento della situazione di tutti nel suo complesso.

 

Gli hacker e la ricerca scientifica collettiva

Già nel 1965 l’Arpa sponsorizza studi sui cooperative network of time-sharing computers.

D. Engelbart è stato fin dagli anni Sessanta uno dei primissimi scienziati che ha sviluppato ricerche sull’interfaccia uomo-macchina, partendo dallo studio dei meccanismi della mente umana.

È negli anni Sessanta che dallo studio della cooperazione tra macchine si passerà allo studio e in seguito ai primi esperimenti di cooperazione e comunicazione tra individui mediata attraverso la macchina, ovvero a quell’ambito disciplinare oggi definito Computer-mediated Communication 3.

Uno dei primi esempi è quello del Network Working Group (Nwg) che nasce nel 1968. Il Nwg è un gruppo di scienziati che, sfruttando un ben preciso modello operativo, realizzerà alcuni tra i principali standard alla base dell’attuale rete Internet. Questo modello è quello dei Request For Comments (Rfc), ovvero delle richieste di commento fatte tramite la rete da uno dei componenti al resto del gruppo riguardo ad una bozza di progetto da lui proposta. I successivi commenti e rielaborazioni da parte degli altri componenti del gruppo migliorano il progetto fino a renderlo il frutto di un lavoro di ricerca collettivo 4. Il modello operativo collettivo degli Rfc, (il primo è stato spedito da S. Crocker nel 1969), ha fornito le basi grazie a cui è nata la rete. Il Nwg si è evoluto nel tempo fino ad arrivare all’attuale Internet Engineering Task Force, così come all’Internet Society fondata da Vinton Cerf, uno dei cosiddetti padri della rete Internet.

In realtà, fin dall’inizio degli anni Sessanta, gli hacker del Mit realizzavano programmi in modo collettivo. Questo avveniva ad esempio per la programmazione del computer Tx-0. In particolar modo il codice del primo videogioco per computer, Space War, realizzato nel 1962 da S. Russell, un hacker del Mit, fu messo subito a disposizione di tutti gli altri hacker che lo elaborarono in modo decisivo, rendendolo il frutto di un’elaborazione collettiva che venne distribuito gratuitamente in giro fino a diventare uno dei più famosi videogiochi per computer (Levy S., 1996, pp. 61-62). Il sistema Its (Incompatible Time-sharing System) era anch’esso una biblioteca collettiva di programmi, da cui ogni hacker del Mit poteva accingere liberamente. Questo sistema di scambio cooperativo di competenze permetteva la crescita esponenziale delle abilità degli hacker e uno sviluppo velocissimo dei risultati ottenuti nel campo della ricerca sui calcolatori.

È sempre negli anni Sessanta che viene introdotta la possibilità per più utenti di accedere contemporaneamente al medesimo computer per condividerne le risorse. Questa tecnologia fu definita «time sharing» e significò la possibilità per gli utenti delle comunità telematiche di scambiarsi materiali e comunicare tra loro in tempo reale. La posta elettronica nacque per facilitare gli scambi durante il «time sharing». Le ricerche degli hacker del Mit in quel periodo furono fondamentali per lo sviluppo di questa tecnologia che poneva le basi del modello di comunità virtuale.

L’avvento dei grandi network telematici e in particolare di Internet era già stato previsto nel saggio di Licklider «Il computer come strumento di comunicazione» (1968), dove, riferendosi alle comunità di scienziati connesse attraverso l’utilizzo delle tecnologie in «time sharing» l’autore scriveva: «in questa mezza dozzina di comunità, la ricerca e sviluppo sui computer e lo sviluppo di applicazioni sostanziali si supportano l’un l’altro. Esse stanno producendo crescenti risorse informatiche di programmi, dati e know-how. Ma abbiamo visto solo l’inizio. C’è molta programmazione e raccolta di dati da realizzare prima che il potenziale di questo concetto possa essere realizzato [...] Oggi le comunità on line sono separate l’una dall’altra funzionalmente e geograficamente. Ogni membro può vedere solo il processing, la memoria, e le capacità software del computer sul quale è centrata la sua comunità di appartenenza. Ma la mossa attuale è quella di interconnettere le comunità separate e quindi, trasformarle, per così dire, in supercomunità» (Blasi, 1999, p. 41).

Lo spirito che si respira in quel periodo è uno spirito comunitario, la volontà di unirsi in un gruppo, e in seguito in una rete, per realizzare collettivamente un progetto. È la volontà di cooperazione finalizzata alla sviluppo e al bene dell’intera umanità, alla condivisione sia delle risorse che dei risultati di tali sforzi. È lo spirito dei movimenti che ritroviamo alla base dei principi dell’etica hacker e che dovrebbe essere anche quello della ricerca scientifica. Un modello di sviluppo che viene però da sempre a scontrarsi con quello ben differente in cui tutto è privatizzato (ovvero finalizzato agli interessi del singolo) e ridotto a un gioco di squadre in competizione, dove la vittoria di una comporta l’eliminazione dell’altra.

 

Coevoluzione e trasformazione collettiva dei saperi

 

Ai primordi della democrazia, ad Atene, l’agorà era il mercato e il luogo in cui i cittadini si incontravano per parlare, spettegolare, discutere, giudicarsi, esaminare i punti deboli delle ideologie discutendone insieme. La comunicazione dei cittadini in rete viene vista oggi da alcuni come una forma di «agorà elettronica».

Le comunità virtuali sono principalmente luoghi in cui vi è libertà di comunicare con persone che non appartengono a gruppi sociali basati sui confini politici del luogo di appartenenza: comunità non geografiche ma basate sul comune interesse.

La nascita delle tecnologie telematiche è il frutto di un insieme di contingenze tra le quali un ruolo rilevante lo ha svolto la presenza nei centri di ricerca di un’attitudine creativa tipicamente hacker che riconosceva come diritto quello ad usare i computer come uno strumento per esprimersi liberamente. Inoltre, le tecnologie telematiche si sviluppano immediatamente nelle aree di movimento in quanto permettono quella che può essere considerata una lotta contro l’esproprio del sapere collettivo. Le lotte per la difesa del diritto di parola rifiutavano l’idea che il sapere diffuso socialmente fosse un pensiero unico deciso e distribuito da un’élite attraverso i mezzi di comunicazione di massa.

Il modello comunitario proposto dalle utopie californiane e dai movimenti negli anni Sessanta venne quindi sperimentato all’interno dei nascenti modelli di comunità virtuali.

La rivendicazione della democraticità del fare collettivo la ritroviamo in quel periodo anche nell’uso del videotape come strumento di lotta. Il video viene autogestito sia per fare contrinformazione che per esperienze artistiche che rifiutano il ruolo dell’autore unico. È il caso di M. Shamberg che insieme agli Ant Farm, e ai membri della Raindance, fonda la Top Valute Television (Tvtv) e scrive nel 1971 un cult del periodo che è il libro Guerrilla Television.

La riappropiazione delle tecnologie della comunicazione è nell’aria.

Nel 1972 la «Saturday Review» riporta l’affermazione di Albrecht che «vuole creare Computer Center di quartiere che siano accessibili a tutti» (Levy S., 1996, p. 177).

Il Community Memory Project (Cmp) è la prima comunità virtuale con basi sociali, progettata nel 1971 e realizzata a San Francisco nel 1973. Secondo il volantino distribuito allora, il Cmp era «un sistema di comunicazione che educava la gente a prendere contatto con gli altri sulla base di interessi condivisi, senza dover sottostare al giudizio di una terza parte» (Levy S., 1996, p. 160). Facilitare le comunicazioni tra persone interessanti della zona, fornire un sistema sofisticato di teleconferenze gratuito o a basso costo e proporre la posta elettronica alle masse sono state alcune delle caratteristiche delle prime comunità virtuali il cui obiettivo era di favorire la costruzione di un universo aperto.

Il Community Memory Project non voleva semplicemente essere un database per raccogliere i saperi della comunità. La possibilità per ognuno di contribuire a un progetto collettivo dava nuova sostanza all’idea di autogestione sviluppata nelle aree di movimento. Le comunità virtuali nascono infatti come un esperimento di autoprogettazione: i primi utenti avrebbero progettato il sistema per gli utenti successivi. L’impiego del sistema si sarebbe coevoluto con il sistema stesso (K. Kelly in Rheingold, 1994, p. 52). L’evoluzione del sistema diventa dunque il risultato dell’insieme di eventi di autogestione che ogni individuo sviluppa in rete. In queste comunità la ricerca e sviluppo sui computer e lo sviluppo di applicazioni sostanziali si supportano l’un l’altro producendo crescenti risorse informatiche di programmi, dati e know-how necessarie al funzionamento della comunità stessa. Il rischio sarà semmai quello di esaurire la comunicazione in rete in uno scambio di soluzioni tecniche. È il rischio paventato da Mao Tse-Tung con la celebre frase «guarda la luna e non il dito». Il fine ultimo deve essere lo scambio e la comunicazione tra le persone, la loro felicità (la luna). Il fine ultimo non è far circolare soluzioni tecniche che garantiscano il funzionamento della rete (il dito), il fine ultimo è che dallo scambio in rete emerga felicità per ogni partecipante.

Un altro caso esemplificativo della trasposizione del modello comunitario proposto dalle utopie californiane negli anni Sessanta all’interno delle nascenti comunità virtuali è il caso di The Well comunità formata nel 1985 dalle persone che avevano lavorato all’interno della Farm, una comunità agricola del Tennessee molto famosa negli anni Sessanta.

Le comunità virtuali sono luoghi dove la gente s’incontra, e sono anche strumenti; l’elemento spaziale e quello funzionale coincidono solo in parte. Alcuni entrano nel Well solo per far parte della comunità, alcuni solo per avere informazioni, altri vogliono entrambe le cose (K. Kelly in Rheingold, 1994, p. 66).

Le reti telematiche forniscono dei meccanismi di reciprocità.

La ricerca di informazioni viene potenziata dalle relazioni nelle comunità virtuali. La comunità virtuale può dunque diventare una risorsa per ottenere informazioni. Ma l’idea che sta alla base delle prime comunità virtuali non riflette il modello della reciprocità «do ut des», quello per cui si dà qualcosa per avere in cambio qualcos’altro, ma favorisce un’economia dello scambio in cui la gente fa cose per gli altri rispondendo al desiderio di costruire qualcosa di collettivo, un desiderio cioè di solidarietà e partecipazione. Lo stare in una comunità virtuale, anche solo per fare conversazione, viene di per sé considerato un valore (Rheingold, 1994, p. 66).

L’attivismo dei movimenti, così come lo sforzo di una certa parte delle comunità scientifiche, condivideva e condivide tutt’ora l’idea che gran parte dei problemi sociali potrebbero risolversi se la gente si mettesse insieme comunicando e condividendo soluzioni.

Le comunità virtuali si sviluppano dunque come luogo di scambio (nonché di copia) e libera circolazione dei saperi finalizzata ad una loro rielaborazione/deformazione che garantisca la crescita della collettività.

Ciò che il Community Memory Project inaugura è il modello di quelle che in seguito saranno definite Bbs: bacheche on-line non riservate ad un’élite di ricercatori o comunque ad un gruppo privilegiato, bensì un luogo cui qualsiasi individuo possa accedere liberamente per scambiarsi messaggi e annunci. La gente usa le teleconferenze per trovare persone con gli stessi interessi e valori. La comunità virtuale diventa un luogo dove la gente può incontrarsi e scambiarsi opinioni. Un mezzo il cui uso è creativo, e che favorisce non solo la libera espressione individuale, ma anche lo sviluppo del mezzo stesso secondo possibilità inizialmente non previste.

Uno degli assunti è quello di produrre un modello di comunità in cui ciò su cui converge il comportamento comune non è un soggetto/eroe della comunicazione, ma un valore, concetto, interesse, comportamento, linguaggio, bisogno, riconosciuto come punto d’incontro ed elemento condiviso dalla comunità.

 

Arte collettiva e nome multiplo

Gli happenings sono stati un altro importante momento di pratica culturale collettiva.

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, nel pieno sviluppo della strategia dell’imperialismo culturale (esercitato tra le altre cose attraverso la diffusione di massa dei prodotti artistici), si sviluppa una parallela industria culturale in cui i prodotti della cultura divengono merce (vedi Adorno e Horkheimer, 1966). Musei, gallerie e riviste d’arte, così come i teatri e le sale dei concerti, sono il luogo attraverso il quale non si cerca solo di diffondere “cultura”, ma di alienare gli individui dalle loro differenze per imporre loro un pensiero unico. In risposta a questo stato di cose le riflessioni teoriche emerse da aree intellettuali come la Scuola di Francoforte o in generale le teorie critiche sui media (come ad esempio l’idea di Società dello Spettacolo in Debord e nel Situazionismo) si sono riflesse tra le altre cose nelle pratiche degli happenings. Non è un caso isolato quello di H. Flynt del gruppo Fluxus, che in quel periodo fa arte attraverso azioni di protesta di fronte ai musei con cartelli dal tono esplicito come «Destroy art museum». H. Flynt invita le persone a prendere coscienza dello stato di cose attraverso volantinaggi e conferenze che diventano happening artistici veri e propri in cui ognuno può partecipare esprimendo la propria opinione. Gli happenings sono stati un luogo della decostruzione del senso dominante. Sono stati l’eplosione di pratiche partecipative del fare arte in cui non voleva esserci un pensiero dominante trasmesso a molti attraverso l’evento artistico, bensì il recupero della molteplicità dei pensieri possibili attraverso l’agire collettivo. Gli happenings implicavano la partecipazione attiva del pubblico che, come nel caso dell’opera musicale «Fuori» 5 del 1965 di G. Chiari, prendeva coscienza di essere egli stesso l’autore della musica. Gli happening sono stati parte integrante del maggio francese nel 1968 grazie ad esempio al gruppo del Living Theatre. In seguito gli happenings sono approdati nella telematica dapprima, all’inizio degli anni settanta, attraverso forme spontanee come le discussioni creative all’interno di luoghi di dibattito come il Community Memory Project, in cui le persone si scambiavano deliri poetici on-line; quindi attraverso la nascita di nuovi linguaggi creativi come ad esempio l’ascii-art e l’uso delle faccine telematiche (Emoticons, icone emozionali) fin dalle prime Bbs negli anni ottanta. In seguito gli happenings telematici, da evento spontaneo e non organizzato in rete, si sono trasformati in pratica artistica di rottura nei confronti della cultura artistica dominante. È il caso ad esempio di Hacker Art Bbs, che si propone nel 1990 come galleria d’arte on-line, proponendo in tal modo l’idea che gli scambi partecipativi on-line potessero essere considerati un’opera d’arte (vedi Hackeraggio sociale e Cyberpunk). È il caso ancora di eventi come l’«Happening telematico» con chat improvvisato tramite Videotel che T. Tozzi organizza alla galleria Murnik nel 1991 e che diventa poi fin dal 1994 un luogo stabile all’interno dell’omonima sezione «happening chat» di Virtual Town Bbs. È ancora il caso di «Happening digitali interattivi» del 1992, a cura di T. Tozzi, il primo cd-rom (con libro) italiano contenente musica, testi, immagini realizzate collettivamente, in parte anche attraverso l’uso della rete telematica 6, e rimanipolabili in modo interattivo (poco dopo P. Gabriel realizzerà un cd-rom con suoi brani musicali che l’utente può ricombinare attraverso dei comandi in realtà abbastanza limitati). Sono infine ancora happening artistici ed hacktivist i netstrike che dal 1995 vedono riunite migliaia di persone on-line a protestare contro ingiustizie sociali (vedi Netstrike).

Un esperimento comunitario partito nel 1985 a Londra è quello che prevede l’uso di un nome collettivo «Karen Eliot» per firmare lavori artistici realizzati da chiunque. Il progetto è mirato a minare le basi del concetto di autore e di copyright nella cultura artistica. Dieci anni dopo, nel 1994 diverse soggettività in Italia ed Europa cominciano a usare il nome multiplo Luther Blissett per firmare le proprie azioni all’interno dei media, della cultura e della società in generale (vedi Il falso come strumento di lotta).

 

 

continua

indice
 

Licenza: Questo testo e' soggetto alla GNU Free Documentation License

Copyright (c) 2002 A. Di Corinto, T.Tozzi

Permission is granted to copy, distribute and/or modify this document under the terms of the GNU Free Documentation License, Version 1.1
or any later version published by the Free Software Foundation; with no Invariant Sections, with no Front-Cover Texts, and with no Back-Cover Texts. A copy of the license is readable in http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html